Parla Calzoni (ex Lucchini)

L'involuzione politica e consociativa della Confindustria marcegagliana

Michele Arnese

“Confindustria? Chiacchiere e distintivo”. Ossia non sei nulla, non vali nulla, sei solo parole. Ugo Calzoni, braccio destro del presidente Luigi Lucchini in Confindustria dall'84 all'88 e poi direttore generale dell'Ice e di Confindustria Lombardia, ricorre alla frase con cui Robert De Niro, nel ruolo di Al Capone, apostrofava il poliziotto che l'aveva fatto arrestare per definire l'attuale vertice confindustriale. Ma Calzoni, classe 1945, manager che ha spaziato dal gruppo Lucchini alla Fiera di Parma passando per la Sea (aeroporti milanesi), nasconde dietro l'ironia una serissima convinzione.

    “Confindustria? Chiacchiere e distintivo”. Ossia non sei nulla, non vali nulla, sei solo parole. Ugo Calzoni, braccio destro del presidente Luigi Lucchini in Confindustria dall'84 all'88 e poi direttore generale dell'Ice e di Confindustria Lombardia, ricorre alla frase con cui Robert De Niro, nel ruolo di Al Capone, apostrofava il poliziotto che l'aveva fatto arrestare per definire l'attuale vertice confindustriale.

    Ma Calzoni, classe 1945, manager che ha spaziato dal gruppo Lucchini alla Fiera di Parma passando per la Sea (aeroporti milanesi), nasconde dietro l'ironia una serissima convinzione: l'uscita della Fiat capitanata da Sergio Marchionne da Confindustria produrrà presto smottamenti tumultuosi nella confederazione, dove le aziende si rivolteranno contro i vertici dell'associazione che “tradendo una delle richieste storiche del padronato sull'articolo 18 dello statuto e sui contratti aziendali” hanno preferito un'alleanza tutta politica con la Cgil: “Ma con la ripresa economica che verrà i contratti aziendali valorizzati con l'articolo 8 saranno sottoscritti in massa dagli imprenditori”. La bontà delle ragioni delle sue tesi, Calzoni la ritraccia nelle parole di ieri di Susanna Camusso della Cgil: “E' lo strappo di chi pensa che non ci debbano essere delle regole”.

    Nulla di nuovo, comunque, rispetto al passato nei rapporti tra Fiat e Confindustria: “Si ha l'impressione di tornare al 1980 quando la Fiat, assediata, si ribellava con la marcia dei 40 mila alle pratiche consociative in una completa solitudine anche nei confronti dei vertici della Confindustria del tempo”. Anche allora ci fu un presidente, Vittorio Merloni, che durante un direttivo della confederazione disse che “a Torino erano in atto azioni limitate a una azienda e che queste riguardavano la Fiat e non il mondo imprenditoriale nel complesso”. L'avvocato Agnelli e Cesare Romiti tramortirono, sbigottiti, ricorda Calzoni.

    Eppure, secondo il manager che per 23 anni, dal 1970 al 1993, ha lavorato nel gruppo Lucchini con diversi incarichi, “la rottura tra Fiat e Confindustria segna una svolta storica nella maggior organizzazione imprenditoriale del paese”. “L'episodio formale della uscita da Viale dell'Astronomia – secondo Calzoni – trova la ragione ultima nello svuotamento operato dalla Confindustria sugli indirizzi in tema di contratti aziendali contenuti nell'articolo 8 della manovra finanziaria, contenuti anticipati dagli accordi, pur maggioritari, di Pomigliano e di Mirafiori”. Insomma il vertice di Confindustria ha voluto conservare il tabù per cui in sostanza si deve prevedere ancora l'obbligo del reintegro per i licenziamenti senza giusta causa invece dei più moderni risarcimenti economici. “La cecità di Merloni negli anni Ottanta – aggiunge Calzoni – è la stessa della Confindustria di Marcegaglia, ormai intessuta di compromessi politico-sindacali, all'insegna di un'alleanza consociativa con la Cgil e burocratizzata da una proposta di rappresentanza lontana dagli interessi vitali della competizione e delle piccole e medie industrie”.

    Sono anni ormai, secondo Calzoni, che in Confindustria e in molte territoriali si sono perse le connotazioni della rappresentanza degli interessi: “La presenza sempre più forte delle ex aziende di stato, di quelle dei servizi e delle municipalizzate hanno tolto a Confindustria quei valori che hanno sempre caratterizzato l'impresa privata e la dinamicità che essa ha garantito persino alla mobilità sociale ed economica del paese”. Ormai “specie da Roma in giù sono i costruttori a dominare le territoriali, però i costruttori non si confrontano con il mercato bensì soprattutto con gli assessori ai lavori pubblici”.

    Ciò detto, “Marcegaglia ha inferto un colpo mortale alla Confindustria fino a oggi conosciuta”. Ma per certi versi era un esito scontato: di solito quando i presidenti sono giovani, al termine del mandato hanno il problema di precostituirsi un futuro specie quando non guidano imprese fondate personalmente, quindi alla fine della presidenza prevalgono interessi più personali e politici che confederali. “Un fenomeno iniziato con Abete e proseguito anche con Fossa. Il primo è divenuto banchiere e il secondo è passato ai vertici della Sea alla fine del mandato”. Quindi è preferibile che il prossimo presidente di Confindustria sia della vecchia guardia? “La svolta – risponde Calzoni – potrà venire da una nuova presidenza caratterizzata da un imprenditore manifatturiero legato al mercato, con una storia consolidata alle spalle, che consideri quella carica il fine di un “cursus aeconomicum” e umano di successo e non una piattaforma per nuovi incarichi da riscuotere sul terreno della politica”.