Il cavaliere bianco

Paolo Rodari

Vir ecclesiasticus, notevole studioso, e a suo modo capopolo di Sant'Egidio, il professor Andrea Riccardi è sceso in campo con decisione, prudenza e sensibilità per i tempi. Se a Palermo, nel 1995, agli stati generali della chiesa italiana il cardinale Camillo Ruini lo fece sedere alla sua destra, al tavolo della presidenza, aveva evidentemente le sue ragioni. Già allora Riccardi guidava “una cometa con piccolo nucleo ma mirabolante scia luminosa” – così l'Espresso definì la Comunità di Sant'Egidio.

    Vir ecclesiasticus, notevole studioso, e a suo modo capopolo di Sant'Egidio, il professor Andrea Riccardi è sceso in campo con decisione, prudenza e sensibilità per i tempi. Se a Palermo, nel 1995, agli stati generali della chiesa italiana il cardinale Camillo Ruini lo fece sedere alla sua destra, al tavolo della presidenza, aveva evidentemente le sue ragioni. Già allora Riccardi guidava “una cometa con piccolo nucleo ma mirabolante scia luminosa” – così l'Espresso definì la Comunità di Sant'Egidio – e anche se negli anni successivi lo storico romano, cercando e ottenendo consenso soprattutto nella sinistra ecclesiale, ha permesso che quell'intesa iniziale s'intorpidisse un po', l'impareggiabile fiuto ecclesiastico che Ruini aveva percepito in lui è rimasto intatto e continua a manifestarsi. Tanto che oggi, nei giorni in cui diversi osservatori vedono in Riccardi il leader di un nuovo “soggetto” di ispirazione cristiana che al convegno di Todi (lunedì prossimo) nascerà per dialogare e interloquire con la politica, è il diretto interessato a mettere le cose a posto e, mostrando intelligenza e cultura, si chiama fuori da ogni candidatura precoce. Il futuro può avere in serbo tante cose, ma non certo “un partito cattolico”, dice. A Famiglia Cristiana (in edicola oggi) Riccardi confida: “Io non mi candido a niente”, anche perché all'orizzonte non c'è “nessuna balena bianca” né “alcuna strategia in questo senso”. E poi quelle parole che dicono tanto di come il presunto federatore di una nuova stagione dei cattolici in politica guardi a Todi: “Ci vado, passo e saluto, esprimo una mia simpatia e poi riparto. Ho impegni all'estero”. Va con Mario Giro nella Guinea Conakry.

    Forte del ruolo di peacekeeping internazionale che anche diversi presidenti degli Stati Uniti e Papi hanno riconosciuto alla sua Comunità, Riccardi è sempre chiamato in ballo in politica. Nel 2005 Fausto Bertinotti lo indicò come ministro degli Esteri per il centrosinistra. Poco dopo venne corteggiato sia per la guida della regione Lazio o del comune di Roma, sia per un posto in Parlamento con il Pd di Walter Veltroni. Candidature mai confermate e dalle quali Riccardi si è sempre smarcato. La forza di Sant'Egidio è il rifiuto di una discesa in campo prematura, strutturata in un'aggregazione che cerchi i voti del popolo cattolico, e in questo la Cei è con loro.

    E, se è vero che due indizi fanno una prova, resta significativo il fatto che la stessa posizione di Riccardi l'abbia espressa, proprio in queste ore, l'altra personalità della galassia cattolica che è stata da più parti indicata quale possibile federatore dei cattolici in politica: il rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi. In un'intervista a Dino Boffo su Tv2000, Ornaghi smentisce l'ipotesi di un cantiere aperto per formare una nuova Dc: “Nella storia non c'è mai stato un nuovo che è arrivato dopo ciò che era finito”. Piuttosto dobbiamo “tradurre i nostri valori in azioni, che vuol dire formare i futuri politici”. Il compito, insomma, è quello della “formazione della classe politica”, un compito prepartitico. Dice al Foglio Gennaro Acquaviva, il socialista cattolico che nel 1985 era capo della segreteria e consigliere politico di Bettino Craxi a Palazzo Chigi: “Il compito della chiesa è quello di formare una nuova classe dirigente che s'impegni in politica a destra come a sinistra. In questo senso capisco Todi se è lì che vuole arrivare. Se invece puntano ad altro, a una nuova aggregazione politica, ritengo siano finiti ancora prima di cominciare. Dietro non hanno i voti, non hanno il consenso, non hanno nulla”.

    Non è facile per la chiesa italiana prendere la giusta direzione, ora che una stagione politica si va esaurendo. Ieri il deputato del Pd Giorgio Merlo ha chiesto a Marco Tarquinio lumi in merito a una presunta volontà della chiesa italiana di dar vita a “movimenti politici identitari”. La risposta di Tarquinio sul giornale che dirige, Avvenire, è da annotare perché, seppure non dà spago all'idea di un nuovo partito, insiste sul fatto che una nuova fase è aperta. Perché la stagione dell'equidistanza tra i due poli, corroborata da “una presenza significativa” di cattolici in entrambi gli schieramenti, è stata anche una stagione di “insignificanza”, e “questo non deve più accadere”. “Meglio contestati che irrilevanti”, sosteneva Ruini. “Né marginali né insignificanti”, replica oggi Tarquinio invitando la chiesa ancora a dissodare un terreno che non sembra più in grado di portare frutti. Come questo avverrà è ancora in mente Dei. In questi giorni l'analisi più interessante sul futuro l'ha fatta il direttore del Regno, Gianfranco Brunelli. Scrive: “Il sogno di mezza estate di un semplice ritorno alla Dc ha fatto vedere quanto sia arretrata, culturalmente e politicamente, la posizione di molti cattolici, compresa una parte della gerarchia ecclesiastica. Quel ritorno non è possibile”. Quel partito “risulterebbe velleitario. Emergerebbe la tragedia di una chiesa ridotta a parte politica”.