Abiura fogliante: mai più puzzette dal Palazzo, politica non è tweet

Piero Vietti

La tentazione è stata forte, e poiché alle tentazioni raramente si è in grado di resistere, abbiamo ceduto anche noi. Raccontare la politica con gli sms pubblicati sul sito internet è l'ultima variante del porno giornalismo – più porno che giornalismo, laddove il cronista armato di telefonino non filtra quasi più nulla, getta nel melmoso flusso delle informazioni che informano sempre di meno, qualsiasi dettaglio colpisca il suo occhio – è lo scimmiottamento del para cazzeggio su Twitter reso autorevole dal nome del cronista e dalla collocazione in pagina dei messaggini.

    La tentazione è stata forte, e poiché alle tentazioni raramente si è in grado di resistere, abbiamo ceduto anche noi. Raccontare la politica con gli sms pubblicati sul sito internet è l'ultima variante del porno giornalismo – più porno che giornalismo, laddove il cronista armato di telefonino non filtra quasi più nulla, getta nel melmoso flusso delle informazioni che informano sempre di meno, qualsiasi dettaglio colpisca il suo occhio – è lo scimmiottamento del para cazzeggio su Twitter reso autorevole dal nome del cronista e dalla collocazione in pagina dei messaggini.

    C'è qualcosa di strano se i principali quotidiani nazionali aprono i loro siti internet segnalando le incertezze sul voto di fiducia e citando le critiche al Cav. del Financial Times con accanto la firma autorevole di editorialisti e commentatori che ci raccontano il colore della giacca del tale deputato, si lanciano in freddure o in sarcastici commenti sul ruolo decisivo dello sconosciuto onorevole di turno o ci avvertono che il tale si è appena grattato il ginocchio. Il risultato di oltre due ore di diretta sms sono una sfilza di dettagli che sommati non raccontano la verità del fatto, non affondano nella notizia, restituiscono un'immagine grottesca dei lavori parlamentari (come se ce ne fosse bisogno), bocconi di pettegolezzi e poco altro. Chi ha iniziato per primo, Aldo Cazzullo sul Corriere già mesi fa, ha fatto scuola, purtroppo: dopo di lui ne sono arrivati tanti altri e su altre testate (noi compresi), che – chi meglio, chi peggio – hanno ridotto il racconto politico in ruttino post voto, in puzzetta mollata nel grande ascensore dell'informazione sul Web.

    Il tic è evidente: il successo di Twitter ha fatto sì che tutto tenti di esserne imitazione. Non tutto può essere un tweet, però. Ciò che colpisce è l'importanza che le testate nazionali danno a questi resoconti – divertenti all'inizio, sempre più parodie di se stessi ogni volta che vengono ripetuti: secondo posto sui siti, ampi spazi sul giornale in edicola il giorno successivo. Il racconto della politica non è un riflesso nervoso, però, e i cronisti che digitano solerti i loro sms dal palco della stampa lo sanno bene,  molte delle cose che messaggiano non finirebbero mai in un loro articolo di analisi o in un retroscena: i dettagli colti nella realtà hanno bisogno di decantare, essere soppesati, giudicati e poi raccontati al lettore che il giorno dopo va in edicola e acquista il giornale (o si connette sul sito o scarica sul tablet la sua copia virtuale). Come la maggior parte dei media, anche i social network hanno la controindicazione di fare espandere l'ego di chi li usa a dismisura, tanto che molti giornalisti spesso sono molto più brutali nei giudizi che scrivono su Twitter e Facebook che non nei loro articoli. Certo, questo è il bello dei social network, la novità che hanno portato nel mondo (non solo dell'informazione), ma il rischio che la simpatica cronaca in presa diretta dell'editorialista prestato al cazzeggio o cazzulleggio sostituisca l'analisi delle conseguenze politiche di un voto è troppo grave per essere corso.

    Un conto sono i tweet personali dei cronisti
    , ma trasformare i giornali in contenitori di brevi messaggi da 140 caratteri fa perdere credibilità, fa finire sullo stesso piano del dilettante che, armato di connessione internet e collegato con la diretta del voto alla Camera, commenta più o meno a sproposito quello che vede (ieri pomeriggio sono stati centinaia i messaggi di insulti ai Radicali, al Pd e alla maggioranza comparsi su Twitter). Il giornalismo è altro, soprattutto quando la cronaca non è quella di un festival cinematografico, di una sfilata di moda, di una partita o di una rivoluzione in marcia con dislocazioni di barricate in tempo reale. Dai giornali ci si aspetta qualcosa di più.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.