Le fasi dello scambio
A lato del negoziato per Shalit, Hamas tratta per tornare a casa in Egitto
Hamas molla Damasco e torna alle origini egiziane. Tra i tanti accordi sottobanco che assieme fanno il negoziato per la restituzione del soldato israeliano Gilad Shalit in cambio di mille prigionieri palestinesi, c'è anche un nuovo patto tra l'Egitto e Hamas. Il governo del Cairo ha promesso al gruppo di Gaza, o meglio, alla sua leadership in esilio pericolante in Siria, la possibilità di trasferirsi nella capitale egiziana in cambio di flessibilità nelle trattative appena concluse con Israele.
Il Cairo, dal nostro inviato. Hamas molla Damasco e torna alle origini egiziane. Tra i tanti accordi sottobanco che assieme fanno il negoziato per la restituzione del soldato israeliano Gilad Shalit in cambio di mille prigionieri palestinesi, c'è anche un nuovo patto tra l'Egitto e Hamas. Il governo del Cairo ha promesso al gruppo di Gaza, o meglio, alla sua leadership in esilio pericolante in Siria, la possibilità di trasferirsi nella capitale egiziana in cambio di flessibilità nelle trattative appena concluse con Israele. Il capo di Hamas, Khaled Meshaal, è già al Cairo da una settimana, ufficialmente per seguire da vicino la fase finale del grande scambio, in realtà per parlare del trasloco definitivo di tutto il centro di comando e controllo del gruppo in Egitto. Meshaal, che ha passaporto giordano ma non può rientrare in Giordania perché sarebbe arrestato, d'ora in poi – dicono al Cairo – “mangerà meno shawarma siriane e più kosharì”, il micidiale impasto di pasta, riso e legumi che alimenta mezzo paese con un trionfo di carboidrati a prezzo irrisorio. Il capo delle Brigate Ezzedine al Qassam, l'ala militare del gruppo, Ahmed Jabari, è già al Cairo da tempo imprecisato. Durante i colloqui con gli egiziani, secondo il giornale israeliano Haaretz, ha respinto due volte l'offerta del capo dello Shin Bet, il servizio segreto di Israele, Yoram Cohen, disposto a scendere in Egitto per un faccia a faccia personale.
Se l'Alta corte di Israele non ha accettato all'ultimo minuto le quattro petizioni dei famigliari delle vittime del terrorismo che vogliono bloccare la liberazione, oggi lo scambio comincerà con la consegna dentro Gaza del caporale, ieri promosso a sergente maggiore, Shalit a un rappresentante della Croce Rossa o a un ufficiale egiziano. Subito Israele libererà 27 detenute, come prima tranche. Quindi l'israeliano sarà portato al valico di Rafah e su territorio egiziano, dove resterà 15 minuti, il tempo di trasferirlo in Israele. In quell'intervallo cominceranno le scarcerazioni dei palestinesi. Non tutti saranno restituiti alle loro case. I più pericolosi della lista saranno consegnati a paesi terzi, dove resteranno senza poter tornare per un periodo di tempo non definito.
I paesi ospiti saranno la Siria, la Turchia e il Qatar – ormai il regno del Golfo è una star onnipresente nei negoziati complessi.
Hamas al Cairo sarebbe un ritorno alla culla, perché Hamas è costola della Fratellanza musulmana, e infatti anche i Fratelli hanno preso parte a questi negoziati, a suggellare alleanza e unione di intenti. Furono i Fratelli a creare quella rete di centri di assistenza, mense e scuole che nel 1987, anno della fondazione di Hamas, spalancarono le porte tra i palestinesi al gruppo armato contro i rivali del partito Fatah. Quando gli uomini di Meshaal presero possesso armi in pugno della Striscia nel 2007 si è trattato per la Fratellanza della conquista fisica di un territorio, per la seconda volta. La prima era arrivata con Omar Bashir in Sudan nel 1989.
Il trasloco egiziano sembra un effetto laterale dello scambio Shalit, ma è una scossa di terremoto. La strana alleanza di Hamas – movimento ferocemente sunnita – con l'asse formato da Iran e Siria – un regime sciita e uno alawita – era sempre sembrata un matrimonio di convenienza che sarebbe durato fino a quando fosse durato il nemico comune, Israele. Si sta invece dissolvendo davanti alle rivolte nel mondo arabo, che prima in Egitto hanno azzerato il blocco anti Fratellanza musulmana costituito dal presidente Hosni Mubarak e dal suo capo dei servizi, Omar Suleiman, e poi, e soprattutto, hanno spinto Hamas contro il regime di Damasco. In Siria appartenere alla Fratellanza musulmana è reato da pena di morte secondo la legge d'emergenza 43, Hamas era tollerata soltanto per realpolitik. Ma da quando è scoppiata la rivolta della maggioranza sunnita contro la minoranza alawita, l'imbarazzo è cresciuto fino a diventare intollerabile. Il gruppo si sforza di fare buon viso davanti al massacro dei correligionari e impedisce agli abitanti della Striscia di manifestare in solidarietà ai profughi bombardati nel porto siriano di Latakia, ma non basta. Damasco accusa i palestinesi di aiutare i ribelli e l'Iran ha sospeso i preziosi finanziamenti perché Hamas non esprime il suo sostegno al regime siriano. Il risultato è che 40 mila dipendenti della macchina amministrativa di Gaza sono rimasti senza stipendio per due mesi. E' questa condizione di debolezza che spinge Meshaal alla trattativa con il primo ministro Netanyahu, che nel 1997 diede al Mossad l'ordine di ucciderlo e per poco non ci riuscì.
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