Discorso amoroso
Per scoprire di cosa stavano parlando tutti, negli anni Ottanta in America, bisognava iscriversi a Semiotica 211. I partecipanti al corso erano dieci, e avevano un'aria così spettrale “che il colorito sano di Madeleine sembrava sospetto come un voto a Reagan”. Bisognava parlare di destrutturalismo e dire: “Derrida è un dio”. Madeleine amava Jane Austen, le sorelle Brontë e voleva diventare “una vittorianista”, ma nel 1982 aveva le idee confuse e temeva di sembrare una superata secchiona sciatta, con le dita sporche d'inchiostro.
Per scoprire di cosa stavano parlando tutti, negli anni Ottanta in America, bisognava iscriversi a Semiotica 211. I partecipanti al corso erano dieci, e avevano un'aria così spettrale “che il colorito sano di Madeleine sembrava sospetto come un voto a Reagan”. Bisognava parlare di destrutturalismo e dire: “Derrida è un dio”.
Madeleine amava Jane Austen, le sorelle Brontë e voleva diventare “una vittorianista”, ma nel 1982 aveva le idee confuse e temeva di sembrare una superata secchiona sciatta, con le dita sporche d'inchiostro. Quei romanzi non avevano più senso, come del resto il matrimonio (“che importanza poteva avere con chi si sposava Emma Bovary, se poi avrebbe potuto chiedere la separazione?”), e non si poteva più trovare infatti una sola storia sul matrimonio, a meno di non ripiegare su autori afghani. Questo è invece, dalla prima all'ultima pagina, un romanzo sul matrimonio. Prima ancora, sugli uomini e sulle donne quando si incontrano.
“La trama del matrimonio” di Jeffrey Eugenides (scrittore cinquantenne premio Pulitzer per “Middlesex”) è da oggi in libreria per Mondadori e racconta la costruzione sociale più resistente alle costruzioni sociali: l'amore. Madeleine si sta laureando con una tesi sul matrimonio, e nel frattempo si innamora. Perdutamente, di un tizio geniale e depresso (dicono tutti che si tratti di David Foster Wallace, ma un romanzo è già un gigantesco e in questo caso bellissimo pettegolezzo, quindi chi se ne importa). Uno che si lega la bandana sulla fronte e quando lei gli dice: ti amo, prova a sabotarla con un passo di Roland Barthes, “Frammenti di un discorso amoroso”. Stanno facendo l'amore e lui si alza, va a prendere il libro nella borsa di lei e le legge a voce alta: “Passato il momento della prima confessione, il ‘ti amo' non vuol dire più niente…”. Lei gli lancia il libro in testa, afferra i vestiti e scappa via.
E' solo l'inizio di questo amore, di questo matrimonio, di questo triangolo (in cui Madeleine è amata follemente dal tipo di ragazzo intelligente, sano, studioso delle religioni e apprezzato dai genitori che avrebbe dovuto amare e sposare, e che è certa non amerà mai, almeno all'inizio). Meglio essere freddi che sentimentali, per non essere primitivi, meglio essere pallidi e postmoderni, e invece Madeleine manda all'aria tutto e sprofonda nelle emozioni, le si infiammano le guance, le scendono milioni di lacrime, legge Roland Barthes ma non per decostruire l'amore, per trovarci il proprio diario sentimentale. Diventa lei stessa un'eroina romantica, pulisce la casa sporchissima del suo amato, in cui il cuscino per dormire puzza di salame (e lo fa nonostante il boom culturale della divisione dei compiti fra uomo e donna), lo accudisce quando è malato, rinuncia alla cerimonia di laurea per correre al suo capezzale, tiene nascosta la follia di lui alla sua famiglia finché può. Lo sposa “sospinta da una forza molto simile all'euforia maniacale”, proprio come una ragazza vittoriana, lo insegue fin sulle rotaie di un treno, plasma la sua vita sulla sua, negli anni Ottanta a New York (mentre il suo tenace spasimante viene accusato di maschilismo e misoginia a Parigi perché guarda le ragazze per strada e legge Hemingway). L'amore è una grande trama. E in fondo a ogni storia c'è sempre un kit di sopravvivenza.
Il Foglio sportivo - in corpore sano