Er pelliccia e l'indignato pentito
Signor terrorista urbano, ma chi è lei? La domanda se l'è posta anche il ministro dell'Interno e converrà che lo sforzo è in sé lodevole. Ma non avendo trovato risposte, se l' è inventata: terrorista urbano, per l'appunto. Non so se a lei piace. Al suo posto mi preoccuperei. Non è mai una buona cosa una trappola semantica, vedi mai che l'aggettivo scompare e rimane il solo sostantivo. Non sarebbe allora più questione di violenza di strada, di cui (per quanti danni possa fare e qualsiasi forma possa prendere, dalla guerra tra bande allo scontro tra tifoserie) bisogna farsi una ragione.
Signor terrorista urbano, ma chi è lei? La domanda se l'è posta anche il ministro dell'Interno e converrà che lo sforzo è in sé lodevole. Ma non avendo trovato risposte, se l' è inventata: terrorista urbano, per l'appunto. Non so se a lei piace. Al suo posto mi preoccuperei. Non è mai una buona cosa una trappola semantica, vedi mai che l'aggettivo scompare e rimane il solo sostantivo. Non sarebbe allora più questione di violenza di strada, di cui (per quanti danni possa fare e qualsiasi forma possa prendere, dalla guerra tra bande allo scontro tra tifoserie) bisogna farsi una ragione: è il prezzo da pagare all'idea di società aperta e una democrazia senza conflitti puzzerebbe come acqua stagnante che imputridisce. Terrorista invece è ben altra cosa.
Pare che fra di voi ci siano anche tante donne. Dicono che portano il meglio ma non sempre sono riuscite a impedire il peggio. C'erano anche in anni lontani, addirittura assicuravano il servizio d'ordine di cortei organizzati e strutturati per essere violenti, molto violenti: davanti le armerie e i negozi di caccia e pesca erano loro che “si aprivano”, facevano passare i “mascherati” che saccheggiavano e rientravano nel ventre protetto della manifestazione. Batti e ribatti finì male. In una lunga notte nera.
Fossi in lei dunque cercherei di ribellarmi subito e con forza all'etichetta che le hanno appiccicato addosso, direi che non voglio essere terrorista urbano né d'alpeggio. Anche quando te lo affibbiano quelli che tu consideri nemici, il nome è sempre sostanza. Mi rendo conto che non è semplice per lei definirsi. Chiamare “global map” il mondo che dovrebbe riappropriarsi di strade e piazze, “call” l'appello degli spagnoli, parlare di “italian revolution”, gridare “que se vajan todos”, usare la rete e i social network, dice poco o nulla. Al più che lei è giovane, ha viaggiato e parla decentemente una qualche lingua straniera, è un prodotto della rete, venuto su con le tecnologie di comunicazione del decennio, che è facebookkato, interfacciato. Insomma un contemporaneo. Altro non si apprende.
Voglio sperare comunque che non siate tutti come F. F., al suo paese noto come “er pelliccia”, il giovane esuberante che scaglia un estintore contro i poliziotti, poi allarga le braccia e fa il gesto del doppio dito medio. E fin qui farebbe anche parte del casting. Solo che una volta arrestato dice che non voleva, che è stato eccitato dai flash, proprio come una soubrette debuttante. E chiede perdono. Le immagini di questo combattente di strada dal volto coperto e dal torace nudo, en passant viene meglio di fronte, di profilo si nota una leggera ventresca, resterà negli archivi come l'immagine storica della giornata. Ma nella memoria sarà colui che si è pentito a tempo di record con spiegazioni che risultano, come si dice a Roma e per restare in tema, “più fastidiose de 'n dito ar culo”.
Voglio anche sperare che lei e quelli come lei non apparteniate alla schiatta di chi blatera contro un regime liberticida, contro leggi che imbavagliano, contro un presidente del Consiglio osceno dittatore circondato da cricche di malaffare: che non siate insomma indignati “semplici”. Che non siate vittime del vacuo e disonorevole libello che tanto successo ha avuto in Europa. Per il quale vale quanto scritto tempo fa da Francesco Piccolo: “Se c'è una cosa che metà della popolazione italiana ha fatto dal 1994 a oggi è esattamente questa: si è indignata. Se c'è un sentimento che la sinistra italiana in ogni sua forma e incarnazione ha espresso, è l'indignazione. Nella sostanza, l'unico. Oltretutto deve trattarsi di un sentimento di cui nemmeno si riesce ad avere consapevolezza, visto che dopo diciassette anni, arriva un libro che si chiama Indignatevi! E tutti urlano ecco cosa bisogna fare! Il risultato è che l'indignazione non ha generato nient'altro”.
Spero che per lei e quelli come lei, il Di Pietro che tempo fa celebrava “la capacità di indignarsi” e il Di Pietro che aderisce alla manifestazione di Roma e poi vorrebbe reintrodurre la legge Reale, siano due facce dello stesso nulla.
Non so se sperare o no che lei sia un indignado “grigio”. C'è chi fa di tutto per dividere buoni e cattivi, i tanti dai pochi. Sappiamo invece che la zona grigia è sempre stata vasta, ieri e oggi. Se non ci fossero intrecci sotterranei, contiguità larghe e forme di complicità accennata, nessun pesce troverebbe acqua a sufficienza per nuotare. Anche se, immagino, lei non è comunista, non ex né post né neo, tutt'al più nipote di quel Toni Negri riciclatosi come grande volgarizzatore di cose vecchie chiamate in modo nuovo, sa benissimo che i tanti che vi conoscono, di volto e di nome, non vi denunceranno mai. Sono fedeli al principio che i conti si fanno in famiglia almeno fino a quando tiene, proprio come si comportavano i loro genitori nei confronti dei compagni che sbagliavano. Sempre doppi insomma.
E' fatta così la sinistra, se non è coinvolta applaude. Ricordo reportage ansimanti sulle periferie francesi o inglesi in fiamme. E sermoni saccenti contro una destra che anziché accogliere e integrare voleva reprimere e assicurare l'ordine.
Non so ma ho come l'impressione che in lei e in quelli come lei le motivazioni non siamo poi così complicate. In un paese che resta ancora ricco ma insoddisfatto, bloccato e molto meno mobile di un tempo, ci sono tanti a cui “rode il culo”, così scrive il sito Indymedia, e rompono, spaccano, bruciano. E' il vecchio spirito da casseur che ricorre, fenomeno fisiologico e ineliminabile, fra giovani dei paesi avanzati. E' Paul Newman “Nick Mano fredda” condannato a pena pesante in un penitenziario dove finirà ucciso all'ennesimo tentativo di evasione. Il giudice che ce lo spedisce gli chiede perché mai avesse decapitato una fila intera di parchimetri. E lui risponde: sono odiati simboli del capitalismo. Più semplice di così.
Il Foglio sportivo - in corpore sano