Cosa deve fare l'Italia per combattere la sussiegosa impotenza europea
L'asse Parigi-Berlino? Il motore franco-tedesco? Non scherziamo. Per capire come vanno davvero le cose, basta passare in rassegna la tragedia greca, madre di tutte le tragedie europee dei nostri giorni. Il 28 gennaio 2010 George Papandreou si presenta al forum di Davos, dove è sempre ospite gradito, e davanti al consesso di banchieri e politici, riuniti come ogni anno sulla “montagna incantata”, illustra le misure draconiane (almeno così sembravano) approvate per aggiustare i conti.
L'asse Parigi-Berlino? Il motore franco-tedesco? Non scherziamo. Per capire come vanno davvero le cose, basta passare in rassegna la tragedia greca, madre di tutte le tragedie europee dei nostri giorni. Il 28 gennaio 2010 George Papandreou si presenta al forum di Davos, dove è sempre ospite gradito, e davanti al consesso di banchieri e politici, riuniti come ogni anno sulla “montagna incantata”, illustra le misure draconiane (almeno così sembravano) approvate per aggiustare i conti. Il primo ministro si dichiara pronto ad affrontare una crisi già disperata. In splendida solitudine? Jean-Claude Trichet, presidente della Bce commenta: “Ciascun paese ha i propri problemi, la Grecia s'è fatta del male da sola”. Tirano un sospiro di sollievo gli emissari di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, la strana coppia che si gioca le sorti dell'Eurolandia.
Il 5 maggio dello stesso anno, durante uno sciopero, gruppi di black bloc assaltano a colpi di molotov la banca Marfin Egnatia posseduta da Andreas Vgenopoulos, presidente della Olympic Airlines e patron del Panathinaikos. Muoiono soffocati tre impiegati. Cinque giorni dopo, un vertice europeo mette a disposizione 110 miliardi di euro da erogare a rate entro il 30 aprile 2013. Prestiti a scadenza troppo breve, con tassi elevati; un nuovo errore. Una scelta tempestiva avrebbe attutito la crisi? Probabilmente sì. Soprattutto, una decisione chiara, in un senso o nell'altro: un default governato o un salvataggio deciso. Invece, Berlino e Parigi si sono gingillati con l'idea che quel che conta è difendere le proprie banche, zeppe di titoli marci: di prestito in prestito, riscuotono gli interessi ed evitano di mettere in bilancio le perdite sul valore dei titoli. Così funziona il direttorio. Così (non) funziona l'Eurolandia.
Un anno e mezzo di gestione confusa e zigzagante ha favorito l'estensione a macchia d'olio dell'incertezza: Portogallo, Spagna, Italia, il cui eventuale collasso può davvero far crollare l'intero sistema. E' giunto il momento di prendere atto degli errori commessi, con onestà, senza volontà punitive, né revansciste. Il governo italiano (magari con quello spagnolo anche se dimissionario) già domenica al vertice di Bruxelles, dovrebbe farsi interprete del profondo disagio dei paesi chiamati pigs (epiteto ingiurioso e razzista). Naturalmente, tutti faranno pulizia in casa propria. La Grecia, sia pur tardi e malvolentieri, ingoia una medicina che rischia di uccidere il paziente. La Spagna sceglie una resa dei conti politica. L'Italia, in modo magari confuso, in un anno e mezzo raggiungerà il pareggio del bilancio (spesa per interessi compresa). Il Tesoro non ha risorse a disposizione, ma il paese è ricco, nove trilioni di euro, quasi sei volte il pil di un anno e cinque volte e mezzo lo stock del debito. E' possibile far circolare questo patrimonio pietrificato dalla paura e sciogliere i lacci che ostacolano la voglia di fare.
Nessuno è in grado di uscire dalla crisi con il rigore senza sviluppo. E questo lo ha sempre proclamato Mario Draghi, l'italiano ora al vertice della Bce. E' la linea della Banca d'Italia, anche del successore in pectore Ignazio Visco. Una volta adottato l'euro, però, non si può fare la crescita in un paese solo. Dov'è finita la Francia di Jacques Delors che aveva immaginato progetti di modernizzazione del vecchio continente, magari talvolta faraonici? O la Germania di Helmut Kohl che ha rinunciò al marco per integrare i suoi due stati in una dimensione davvero continentale? La povertà della leadership è sotto gli occhi di tutti: Bruxelles balbetta, Berlino tentenna, Parigi chiacchiera. Se Roma mettesse in campo idee nuove, proposte coraggiose e praticabili, potrebbe presentarsi come portavoce di una Europa meridionale con aspirazioni ed energie capaci di rivitalizzare lo stanco flusso renano. E se non ora, quando?
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