Ahi, e se tocca a noi?

Claudio Cerasa

Pier Luigi Bersani si sta accorgendo che nel suo stesso partito le policy economiche sono contestate da un fronte così ampio di esponenti democratici tale da far sembrare quasi minoritaria la linea del segretario e del suo braccio destro Stefano Fassina. Un fronte, questo, la cui linea politica potrebbe essere sintetizzata perfettamente con il titolo di un famoso libro scritto a quattro mani da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina. Avete capito bene, sì: forse il liberismo un po' di sinistra ancora lo è.

    “Con questa linea economica non vinceremo mai!”. Si divertono molto in queste ore alcuni esponenti del Partito democratico a parafrasare con queste parole il vecchio tormentone con cui dieci anni fa Nanni Moretti freddò sul palco di piazza Navona i famosi “dirigggenti con i quali non vinceremo mai”. A differenza però della famosa invettiva formulata dal regista contro la non soddisfacente linea politica della vecchia classe dirigente dei progressisti italiani, l'argomento più forte che oggi viene utilizzato per criticare l'attuale linea politica portata avanti dalla nuova classe dirigente dei progressisti italiani (nuova classe dirigente formata tra parentesi da molti dei famosi dirigggenti con cui non vinceremo mai) riguarda un tema di cui ultimamente abbiamo dato conto spesso sul Foglio. Proprio quello, sì: la politica economica del Pd. L'argomento risulta essere di un certo interesse non solo perché i temi economici saranno al centro della manifestazione convocata la prossima settimana dal Pd a Roma (5 novembre) ma anche perché se c'è un tema in questi mesi su cui il Pd non può permettersi di balbettare (vista la crisi finanziaria, viste le richieste dell'Europa e visti i vari spread che schizzano in alto, eccetera eccetera) quel tema è senza dubbio l'economia. E in questo senso, la novità è che oggi Pier Luigi Bersani si sta accorgendo che nel suo stesso partito le policy economiche sono contestate da un fronte così ampio di esponenti democratici (da Veltroni a Renzi, da Fioroni a Letta, da Franceschini fino a qualche prodiano) tale da far sembrare quasi minoritaria la linea del segretario e del suo braccio destro Stefano Fassina. Un fronte, questo, la cui linea politica potrebbe essere sintetizzata perfettamente con il titolo di un famoso libro scritto a quattro mani da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina che anni fa fece sudare freddissimo tutto il mondo dei progressisti anti blairiani, anti neo laburisti e ovviamente anti giavazziani d'Italia. Avete capito bene, sì: forse il liberismo un po' di sinistra ancora lo è.

    “Mi sembra chiaro che nel nostro partito l'opposizione alla linea economica espressa dalla segreteria è affollata di temibilissimi bastian contrari”, dice con un sorriso Alessandro Maran, veltroniano vicecapogruppo alla Camera del Pd. “Ironia a parte, però, il dato di fatto è che se oggi ci dovessimo trovare ad andare al governo di sicuro, almeno sui temi economici, avremmo difficoltà ad approvare riforme come quella delle pensioni che ci chiede l'Europa. E' vero – aggiunge Maran – il nostro responsabile Economia, Stefano Fassina, spesso esprime un tratto identitario non proprio compatibile con le richieste liberali che arrivano da un gran numero di autorevoli esponenti del Pd. Ma al di là della mappa interna del nostro partito, bisogna anche ammettere che il punto di vista di Fassina rappresenta forse il vero zoccolo duro di cui fa parte Bersani: il mondo della Cgil, quello dei sindacati, quello del modello emiliano, insomma la vecchia tradizione comunista. Ecco, questo mi sembra chiaro. Il problema però è che questa linea, a mio parere, rischia di farci piombare nel fantastico mondo del Novecento: un mondo, per capirci, dove le elezioni alla fine le vinceva sempre qualcun altro”.
    Oltre ai veltroniani e ai fioroniani e ai lettiani e ai renziani, ad arricchire la vasta area di esponenti democratici convinti che l'unico modo per “fare uscire il centrosinistra dal Novecento” sia quello di affermare con decisione il principio che “sì il liberismo è roba di sinistra” ci sono anche gli ormai famosi “Giovani Curdi” del Pd (di cui la scorsa settimana avete letto il manifesto sul Foglio).

    Giovani Curdi (così autonominatisi
    in contrapposizione con i Giovani Turchi bersaniani, alla Stefano Fassina e alla Matteo Orfini) guidati dal responsabile Innovazione radiotelevisiva del Pd Gianluca Lioni che hanno apprezzato molti dei dieci punti presenti nella nuova agenda Giavazzi-Alesina pubblicata due giorni fa sul Corriere e che per provare a lanciare la loro campagna di innovazione all'interno del partito hanno scelto di cavalcare (come Renzi) la battaglia economica. Difesa della lettera della Bce, sì alla riforma delle pensioni, sì alla riforma del mercato del lavoro, sì alla revisione dell'articolo 18 e così via. Tutti temi che in effetti (come hanno notato polemicamente alcuni bersaniani) piacciono anche dalle parti del centrodestra. Ma davvero è un problema che nel Pd ci sia qualche idea che non piace solo al Pd? “Beh – dice Lioni – quando mi sento dire che le nostre idee un po' giavazziane sono sbagliate perché piacciono anche dall'altra parte io mi faccio una risata e dico: ma magari riuscissimo a convincere i delusi del centrodestra a mollare il centrodestra e a votare Pd!”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.