La ripresa batte dove le banche falliscono
Gli islandesi sono 320 mila, hanno fiducia nel governo e in termini di Pil sono i titolari della 115esima economia del mondo, appena dopo il Senegal e poco prima del Brunei. Se si considera la ricchezza pro capite, l'isola dei geyser e dei Sigur Ros sale al quindicesimo posto. Meglio della Germania, tanto per dirne una. Epperò dopo la grande crisi l'Islanda s'è messa sulla via della crescita. Come? Lasciando fallire le banche e stimolando l'economia reale.
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Gli islandesi sono 320 mila, hanno fiducia nel governo e in termini di Pil sono i titolari della 115esima economia del mondo, appena dopo il Senegal e poco prima del Brunei. Se si considera la ricchezza pro capite, l'isola dei geyser e dei Sigur Ros sale al quindicesimo posto. Meglio della Germania, tanto per dirne una. Per questo il caso islandese, estremo sia in termini di crisi sia in termini di ripresa, non è esattamente, come sostiene qualcuno, un modello replicabile. Epperò l'Islanda è stato il paese che, in termini relativi, è stato più colpito dalla crisi finanziaria del 2008. Le banche, piene di prodotti tossici, avevano al proprio interno un valore pari a mille volte il Pil e sono collassate.
La disoccupazione è salita dal ridicolo 2 per cento degli ultimi decenni fino al 10, la corona islandese ha perso il 35 per cento del suo valore. In tre anni le cose sono cambiate. Come? Merito, spiega Paul Krugman, dell'eterodossia economica di uno stato così disperato da lasciare perdere ogni inibizione dottrinaria: le banche sono state lasciate al loro destino, e i soccorsi del Fondo monetario internazionale si sono concentrati sugli investimenti nell'economia reale e sulla protezione sociale.
La strada è ancora lunga, ma a giugno Reykjavik ha emesso un miliardo di dollari in bond – cioè è ricomparsa nella mappa finanziaria – le banche sono state ricapitalizzate e il debito pubblico è al cento per cento del Pil. Meglio della Grecia dopo l'intervento di Bruxelles. La flessibilità della moneta ha dato il suo contributo, ma soprattutto il tasso di disoccupazione è tornato sotto il sette per cento e continua a scendere. Miracoli dell'eterodossia islandese.
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