Decreto Spinelli

Alessandro Giuli

In Italia Barbara Spinelli è tra le figure più titolate a parlare di Europa, anche per rimproverarne le mancanze politiche e le esitazioni nel mezzo della tempesta perfetta dei debiti sovrani. Ieri su Repubblica ha scritto un corsivo sul rapporto tra i mercati e la democrazia – “Più poteri all'Europa” – che poteva essere presentato senza errore così: “Come risanare la Res Publica europea”. Raggiunta telefonicamente a Parigi, Spinelli articola il suo giudizio.

    In Italia Barbara Spinelli è tra le figure più titolate a parlare di Europa, anche per rimproverarne le mancanze politiche e le esitazioni nel mezzo della tempesta perfetta dei debiti sovrani. Ieri su Repubblica ha scritto un corsivo sul rapporto tra i mercati e la democrazia – “Più poteri all'Europa” – che poteva essere presentato senza errore così: “Come risanare la Res Publica europea”. All'apice dello svolgimento c'è una considerazione sulla Bce del tutto consentanea alla campagna del Foglio: la Banca centrale europea è il “nostro salvagente, ma salvagente riluttante a tramutarsi in prestatore di ultima istanza”. Raggiunta telefonicamente a Parigi, Spinelli articola il suo giudizio: “I difetti originari della Bce sono riconducibili a due punti. Il primo è nella visione panglossiana del mondo in cui è chiamata a operare”. Un mondo ottimisticamente concepito come immune da crisi acute. “Di qui la preoccupazione principale dell'Istituto centrale europeo, che si riduce alla stabilità, vista solo nell'ottica d'un contenimento dell'inflazione”.

    Il secondo tratto che rende la Bce impreparata per l'attuale stato d'eccezione è nella sua filogenesi: “La Bce – continua Spinelli – è nata con una visione economica molto tedesca. In particolare, è nata come esecutrice di una dottrina economica tedesca: quella secondo la quale la cooperazione internazionale funziona soltanto se ogni stato ha prima messo ordine in casa propria. A Berlino si chiama ‘Haus in Ordnung' e oggi si sta rivelando inadatta, e forse anche superata dai fatti, di fronte alla necessità che ordine e cooperazione s'intreccino”. Con un'espressione un po' involuta si può affermare che l'Europa ha una Banca delle Banche centrali, ma non una sua Banca centrale plenipotenziaria. Per Barbara Spinelli la Bce “non è una vera Banca centrale, come può esserlo quella americana, e come potevano esserlo quelle italiana e francese prima della moneta unica, poiché non è in grado di essere prestatrice di ultima istanza”. Non riesce a infondere l'ossigeno monetario senza il quale il sistema circolatorio delle economie europee rischia l'infarto, come ha rilevato anche il nobel Paul Krugman.

    Krugman, certo, e con lui anche altri economisti meno scettici sull'euro, come De Grauwe”. Ma più che una responsabilità soggettiva (pure individuabile in certe lentezze del governatore uscente Jean-Claude Trichet), la Bce sconta un limite costitutivo, ci dice Spinelli: “Non è tanto colpa della Bce, quanto degli stati che a Maastricht hanno fissato i suoi compiti”. C'è tuttavia un segnale di resipiscenza, la percezione di uno scarto possibile rispetto alle indecisioni pregresse. E questo segno di cambiamento è Mario Draghi, successore di Trichet. “Nell'ultimo discorso ‘italiano' da lui pronunciato prima di insediarsi, Draghi ha esplicitato una volontà d'intervento più continuativa, anche se provvisoria, da parte dell'Istituto centrale”. Fuori dai formalismi dei civil servant, Draghi lascia indovinare un attivismo durevole della sua Bce sui mercati. “Ed è un passo avanti non soltanto rispetto alla stagione di Trichet, ma anche nei confronti della consuetudine della Bce di preannunciare come ‘straordinario' ogni suo intervento, il che per i mercati equivale a un invito alla speculazione”.

    Peggio di un limite strutturale c'è l'indecidibile mutevolezza degli stati membri. A cominciare dal così detto direttorio franco-tedesco, mirabilmente descritto dall'ex europresidente Romano Prodi come una coppia diabolica nella quale Merkel detta legge e Sarkozy parla in conferenza stampa. “I loro ritardi – osserva Spinelli – sono il segnale di una irresponsabilità macroscopica. Non c'è intervento, soprattutto nel caso di Francia e Germania, che non si sia rivelato tardivo, equivoco, irritante. Non c'è ancora consapevolezza da parte loro che la crisi dei debiti sovrani, peraltro non sempre corrispondente a condizioni di crisi nelle economie reali, o si gestisce con un salto qualitativo netto all'interno dello spazio pubblico europeo, oppure innescherà un effetto domino totale”. Esiziale. “Oggi Sarkozy ride, domani non faremo altro che occuparci del default della Francia”.
    Sintomo parlante dell'inanità e dell'ipocrisia europea, per Spinelli, è il Fondo salva-Stati: “E' un fondo del tutto intergovernativo e dunque obbedisce a quel meccanismo ‘diabolico', come dice Prodi, in base al quale è sufficiente il veto di un solo stato per nullificare un piano d'intervento. Come se l'Europa avesse un tempo infinito a disposizione! Come se non avesse una fretta enorme!”.

    Il tema della centralità statuale all'interno dell'Unione europea chiama inevitabilmente in causa la sovranità popolare, il principio “una testa un voto”, l'inalienabile convalida democratica che, da ultimo, ha imbracciato il premier greco Papandreou attraverso il ricorso al referendum sugli euroaiuti. Ne discende un paradosso: la democrazia insidia la tenuta dell'Europa e scava fossati tra il sogno di una federazione continentale e la percezione popolare di una Euroburocrazia non legittimata dal basso. Per Barbara Spinelli, di per sé, “il referendum greco in un certo senso può rivelarsi perfino salutare, poiché così si comincerà a parlare di quel che manca all'Europa. Posto che la democrazia nell'Europa non è assente, perché c'è un Europarlamento eletto e una parvenza di esecutivo che è la Commissione, è vero che il deficit democratico esiste: né il Parlamento né la Bce rispondono a un governo comune, né chi è messo in minoranza o ha fallito nella Commissione va a casa”. Quanto alla scelta di Papandreou, così destabilizzante nella sua (malgrado la sua?) legittimità di principio, Spinelli osserva che il dispositivo cui si sta appellando il governo ellenico “rappresenta anche un uso strumentale della democrazia: Atene aveva dato il proprio consenso all'Europa sul pacchetto di aiuti finanziari, poteva discuterne con più attenzione in Parlamento o sollevare la questione referendaria dapprincipio. Messa così, la scelta di Papandreou dà l'impressione di essere un modo per scaricare sui cittadini il peso di una decisione altrimenti insostenibile. Come se il referendum fosse stato indetto con l'obiettivo di perderlo”.

    Profondamente italo-europea per vocazione personale e culturale, Barbara Spinelli ha apprezzato le parole di Nicola Zingaretti apparse nel suo manifesto pubblicato dal Foglio giorni fa. “Ho apprezzato, e l'ho scritto su Repubblica, il suo appello affinché ogni ceto politico s'impegni a fare una politica al contempo nazionale ed europea”. A proposito di appelli, il Foglio ha sollecitato il premier Berlusconi a trasformare in decreto legge gli indirizzi della lettera di agosto nella quale la Bce di Trichet-Draghi offriva al governo italiano le linee guida di un risanamento/sviluppo non più rinviabile. E' perfino possibile che l'esecutivo risponda all'appello. Per Barbara Spinelli “sarebbe un segnale abbastanza buono, anche perché le richieste della Bce sono sufficientemente vaghe per essere ben riempite di contenuti”. Fosse per lei, inserirebbe anche “un riferimento esplicito alla lotta contro l'evasione fiscale e una forma di tassazione progressiva sui redditi per dare un segno di giustizia sociale”. Ma al dunque, “mi sembra giustissima l'intenzione di chiudere e impacchettare la lettera della Bce senza dare l'impressione di altri sfilacciamenti”.