Il colpo di testa di Papandreou è anche il suo suicidio politico

Dimitri Deliolanes

Capire la genesi della proposta di referendum avanzata dal premier greco significa capire il personaggio. L'annuncio improvviso, all'insaputa perfino dei più stretti collaboratori, ha voluto lanciare un messaggio molto personale: non sono un traditore della patria. Non sono uno straniero. Questo problema George Papandreou se lo porta appresso fin dai primi passi nell'arena politica. Come è noto, il “principe ereditario”, figlio e nipote di premier, è nato negli Stati Uniti da famiglia mista  (sua madre è l'ex radicale americana Margaret Chant), e ha vissuto e studiato in America e in Svezia.

    Capire la genesi della proposta di referendum avanzata dal premier greco significa capire il personaggio. L'annuncio improvviso, all'insaputa perfino dei più stretti collaboratori, ha voluto lanciare un messaggio molto personale: non sono un traditore della patria. Non sono uno straniero. Questo problema George Papandreou se lo porta appresso fin dai primi passi nell'arena politica. Come è noto, il “principe ereditario”, figlio e nipote di premier, è nato negli Stati Uniti da famiglia mista  (sua madre è l'ex radicale americana Margaret Chant), e ha vissuto e studiato in America e in Svezia.

    Tornato in patria negli anni Ottanta,  è stato immediatamente rinchiuso nella torre d'avorio della borghesia anglofona, dove ha incontrato vecchi compagni di college, come Antonis Samaras, attuale leader del partito di centrodestra Nuova  Democrazia. La Grecia il giovane George l'ha conosciuta attraverso il filtro del suo carismatico padre, che tenta invano di imitare con colpi di mano mediatici, anche se dà l'impressione di muoversi come una tenera caricatura,  dal greco incerto, solo in mezzo agli squali della politica. La data fatidica è il 28 ottobre, festa nazionale. Non per la marcia su Roma, ma per l'attacco di Mussolini alla Grecia nel 1940 (coincidenza non casuale). Quest'anno però la consueta parata militare non c'è stata.

    A Salonicco, in particolare, una folla immensa ha occupato la strada e si è messa a inveire contro la tribuna delle autorità: “Ladri, venduti, traditori”. La vittima più illustre dell'attacco verbale è stato il presidente della Repubblica, Karolos Papoulias, uomo onesto ed ex combattente della resistenza, colpito nel mucchio dalla rabbia popolare. Ma il vero “traditore”, l'“agente degli stranieri” che si voleva contestare era Papandreou. Era solo l'ennesima volta che quelle accuse venivano lanciata contro di lui. Da molti mesi gira nei blog, nei giornali, nelle invettive dell'opposizione di destra e di sinistra, la sommaria conclusione che la “maldestra e subalterna gestione” della crisi da parte del governo socialista avrebbe portato alla “svendita del paese allo straniero”.

    Dopo l'accordo al summit europeo del 27 ottobre, gli accusatori  hanno avuto un'altra carta in mano. La Merkel era riuscita a imporre il “controllo permanente” della politica economica greca da parte della troika, fino a quando il paese non sarà in grado di cavarsela da solo. Ecco quindi il populismo nazionale alzare in cielo le bandiere con la croce bianca e azzurra: siamo di nuovo vittime di un'occupazione, come durante la Seconda guerra mondiale, bisogna organizzare un nuovo comitato di liberazione nazionale (in Grecia si chiamava  Eam ed era egemonizzato dai comunisti) e condurre una “lotta di liberazione nazionale” contro l'Amerikano.

    Tasto sensibile per il premier. Che spiega perché l'idea di referendum sulle misure di salvataggio del paese sia nata in totale segretezza, nella solitudine della sua coscienza, e lanciata come una bomba alla riunione del gruppo parlamentare del Pasok. Quella proposta tradisce il distacco del premier dalla realtà. Papandreou sa che l'alternativa delle elezioni anticipate si sarebbe risolta in una disfatta, con un tasso spaventoso di astensionismo, e ha scelto uno strumento inusuale  (in Grecia l'ultimo referendum si svolse nel 1974 e riguardava l'abolizione della monarchia), proiettando il suo desiderio di trasformare l'Ellade in una nazione scandinava, in un paese felice dove i referendum non provocano guerre civili. Con questo azzardo Papandreou si è giocato, comunque vada, la carriera politica – non è ancora detto che il referendum si faccia: più probabili le elezioni anticipate – e ha sancito la sua definitiva emarginazione nel partito fondato da suo padre.