Il Fini bifronte

Marco Palombi

Erano le 11 di ieri mattina quando Isabella Bertolini – passata assai rapidamente negli ultimi giorni da berlusconiana di ferro dell'associazione “Controcorrente” di Guido Crosetto a deputata in tremolante atto d'uscire dal PdL – entrava nello studio di Gianfranco Fini a Montecitorio per un incontro privato. Va detto che Bertolini ha incontrato, prima e dopo la terza carica dello stato, anche altri esponenti del Terzo Polo, ma quel che qui importa rilevare è l'attivismo del leader di Futuro e Libertà.

    Erano le 11 di ieri mattina quando Isabella Bertolini – passata assai rapidamente negli ultimi giorni da berlusconiana di ferro dell'associazione “Controcorrente” di Guido Crosetto a deputata in tremolante atto d'uscire dal PdL – entrava nello studio di Gianfranco Fini a Montecitorio per un incontro privato. Va detto che Bertolini ha incontrato, prima e dopo la terza carica dello stato, anche altri esponenti del Terzo Polo, ma quel che qui importa rilevare è l'attivismo del leader di Futuro e Libertà.

    Gianfranco Fini, fiutato il rischio d'irrilevanza per il suo partito, ha deciso di tornare a giocare all'attacco nel dibattito pubblico e – pare – anche nell'azione politica dietro le quinte: nelle scorse settimane sono stati segnalati contatti del presidente della Camera anche con Santo Versace, che il Pdl l'ha già lasciato ed è al momento nel gruppo Misto, e con Giancarlo Mazzuca, che invece ancora resta al suo posto ma è dato in avvicinamento proprio a Fli (un suo approdo “futurista” veniva considerato probabile pure un anno fa, ma l'ex direttore del Carlino alla fine non saltò il fosso). La domanda che circola dunque nel Transatlantico è ironica, ma rende l'idea: Fini sta facendo il Verdini? In altre parole, l'uomo che occupa lo scranno più alto di Montecitorio è tra quanti nel Terzo polo si affannano per portare via pezzi alla maggioranza e innescare la valanga che consenta il varo di un governo di unità nazionale?

    Fini, che si può dire nato
    con le istituzioni repubblicane, non ignora il problema: “E' un'anomalia che un leader politico sia anche presidente della Camera – ha ammesso in tv – è essenziale però che nel momento in cui presiedo l'Aula, solo il regolamento sia la mia stella polare”. D'altronde, è la sua autoassoluzione, “non è un'anomalia che un ministro che giura fedeltà alla Costituzione si comporti come qualche volta si comporta Bossi? Non è un'anomalia un presidente del Consiglio che un giorno sì e l'altro no attacca la magistratura?”. Certo l'enorme anomalia berlusconiana ne copre molte di minor peso, ma non dovrebbe concedere per soprammercato il privilegio della buona coscienza. In ogni caso, se la giustificazione di Fini ha un senso per quanto riguarda il suo attivismo nel dibattito pubblico, un po' meno ne ha nel momento in cui si concede a incontri con deputati pencolanti della maggioranza: nel calcio, per dire, esiste la figura dell'allenatore-giocatore, ma non quella dell'arbitro-giocatore.

    L'articolo 88 della Costituzione
    assegna a lui e Schifani, soli, il compito di coadiuvare il capo dello stato nella scelta di sciogliere le Camere o una di esse: cosa dirà Gianfranco Fini a Giorgio Napolitano nelle eventuali consultazioni? Certo si può sostenere che ci si possa sdoppiare e parlare una volta da leader di Fli e una volta da presidente della Camera, un po' come quando il Cav. usciva dalla stanza perché il governo potesse approvare la legge Gasparri. Sta di fatto che ogni legislatura che passa – da Violante a Casini a Bertinotti a Fini – il ruolo di presidente della Camera diventa sempre più politico. Ed equivoco. Chissà che ne pensa Giorgio Napolitano: “Teniamo sempre care la coesione sociale e le nostre istituzioni nazionali, democratiche, repubblicane per far fronte alle sfide difficili nuove che abbiamo di fronte”, ha detto il capo dello stato.