La posta in gioco nella politica italiana (con pericolo stangata)

Alessandro Giuli

Il ritorno delle élite, il gran ballo degli ottimati e dei nostalgici di un imminente tutorato super politico, cioè tecnico, circoscritto al sogno neocentrista di un governissimo. Eccolo l'orizzonte terminale assegnato all'Italia dagli aspiranti berlusconicidi di oggi: un ritorno all'ineffettualità della politica, della sovranità e del decisionismo di governo; uno sfregio alla democrazia dell'alternanza fondata sul bipolarismo a vocazione maggioritaria. La posta in gioco, al momento, è questa e non altra.

    Il ritorno delle élite, il gran ballo degli ottimati e dei nostalgici di un imminente tutorato super politico, cioè tecnico, circoscritto al sogno neocentrista di un governissimo. Eccolo l'orizzonte terminale assegnato all'Italia dagli aspiranti berlusconicidi di oggi: un ritorno all'ineffettualità della politica, della sovranità e del decisionismo di governo; uno sfregio alla democrazia dell'alternanza fondata sul bipolarismo a vocazione maggioritaria. La posta in gioco, al momento, è questa e non altra. Silvio Berlusconi non è stato un campione di riformismo, e anzi viene rappresentato come un ostacolo al rimescolamento virtuoso dell'Italia.

    Ma a ben vedere è proprio l'essenza non transeunte del berlusconismo, quel cambiamento strutturale di vivere e di pensare il sistema in forma tendenzialmente bipartitica, il valore aggiunto destinato a dissolversi con il ritorno delle élite. Se esiste un tratto fondante del bipolarismo inclusivo e anticonsociativo praticato faticosamente dal nostro ceto politico negli ultimi vent'anni, sta nella rivoluzione incompiuta berlusconiana, nella sua capacità di marginalizzare il capitalismo e il sindacalismo di relazione; e nel ricollocamento della leadership italiana in quel luogo della politica alimentato dal consenso e non dalle capacità manovriere dell'establishment, o delle sue propaggini neodemocristiane.