Elezioni! Contro i governi inciucioni s'avanza nel Pd un bel fronte bipolarista

Marco Palombi

“Un governo di emergenza o transizione si può fare ma non deve essere un ribaltone: basta che sia composto da persone autorevoli e abbia un sostegno parlamentare larghissimo. Altrimenti meglio il voto”. La linea ufficiale del Pd la esprime Pier Luigi Bersani al Tg3 della sera. La linea ufficiosa la rivela (con rammarico) un dirigente vicino a Enrico Letta: “Il segretario vuole andare a votare”. In realtà, ormai, nel Pd in pochi credono alla praticabilità di un governo delle élite: dal “super-Ciampi” dei lettiani al “governo di transizione”, di “decantazione” o “tecnico” proposto da Veltroni e da altri capicorrente.

    “Un governo di emergenza o transizione si può fare ma non deve essere un ribaltone: basta che sia composto da persone autorevoli e abbia un sostegno parlamentare larghissimo. Altrimenti meglio il voto”. La linea ufficiale del Pd la esprime Pier Luigi Bersani al Tg3 della sera. La linea ufficiosa la rivela (con rammarico) un dirigente vicino a Enrico Letta: “Il segretario vuole andare a votare”. In realtà, ormai, nel Pd in pochi credono alla praticabilità di un governo delle élite: dal “super-Ciampi” dei lettiani al “governo di transizione”, di “decantazione” o “tecnico” proposto da Veltroni e da altri capicorrente. Bersani s'è convinto che per il buon Mario Monti non c'è spazio in questo Parlamento, che gli elettori non gradiscono e, soprattutto, che non è una buona pensata impiccare la sua piattaforma “socialdemocratica” a un programma di governo stilato a Francoforte: vedere per credere il giudizio del responsabile economico del partito Stefano Fassina – che di Bersani è insieme prodotto e ispiratore – sulla lettera della Bce (pastrocchio neoliberista) e sul tema elezioni (“speriamo siano il prima possibile”). Rigidamente ulivista com'è, invece, Arturo Parisi è tra i pochi a via del Nazareno che alle sirene dell'ammucchiata anticrisi non ha creduto mai: “Il governo tecnico non risolverebbe nulla dei problemi del paese. Mi sa di calcolo, tattica. Meglio farebbero gli scontenti del centrodestra a decretare la fine dell'esecutivo in Aula, con limpidezza”, ha messo a verbale nei giorni scorsi. Ma non di soli professori sardi vive il bipolarismo residuo tra i democratici, minacciato a morte da un esecutivo imperniato sulle manovre parlamentari e il tutoraggio ideologico del proporzionalista Casini.

    Alla negletta categoria di quanti
    non recedono dall'idea che agli elettori va affidata una scelta chiara va iscritta l'intera, eterogenea area che sostenne Ignazio Marino al congresso: “Un governo tecnico può anche essere eccellente, come fu il caso di Ciampi, ma non può essere il principale partito di opposizione a chiederlo. Non dovremmo essere la nuova classe dirigente che si candida alla guida del paese? Viene il dubbio che non siamo pronti”. E' il parere del vicepresidente del partito Ivan Scalfarotto, outsider politico di sicuro peso mediatico: “Dovremmo avere ricette chiare da offrire a tutto l'elettorato, non solo al nostro. Mi sembra invece che ormai si pensi prima a fare le alleanze e poi alle cose da fare. Io resto aggrappato ad un'ottica bipolarista e alla vocazione maggioritaria: diciamo dieci cose che vogliamo fare e i partiti più piccoli sono i benvenuti se vogliono farle.

    Nel caso contrario il rischio
    è che saremo noi a doverci adattare al programma di Vendola o di Casini”. Altro “bipolarista residuo” nel Pd è Pippo Civati, rottamatore per così dire moderato, anche lui ostile alla prospettiva del governo degli ottimati: “Intanto non ci sono le condizioni per farlo e poi secondo me non è nemmeno auspicabile: solo un governo politico con un po' di respiro può permettersi di fare quello che serve”. E anche se riuscisse a nascere, spiega, “sarebbe comunque un governo politicamente viziato” perché “gli Scilipoti non sarebbero spariti”.