Quelle forze “normalizzatrici” che più di tutto temono la libertà
Lo scrittore inglese C. S. Lewis citava questo brano di Tolstoj per dire il sistema contro cui si sarebbe scagliato per tutta la vita, quello delle varie élite costituite da coloro che, in qualsiasi ambiente, si ritengono gli “uomini validi”, gli unici veramente in grado ai loro stessi occhi di impugnare il timone della storia. Non c'è niente che le élite, sempre pronte a pavoneggiarsi come “normalizzatrici” delle troppe anomalie in giro per il mondo, detestino come confrontarsi col buonsenso e la libertà.
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Un giovane alfiere interrompe la conversazione del capitano con un vecchio generale, ma il capitano lo rassicura con un sorrisetto complice: “Boris comprese in modo ancora più chiaro una cosa che pensava anche prima, e cioè che nell'esercito, oltre alla gerarchia e alla disciplina […] c'era un'altra e più essenziale gerarchia. [...] Più che mai Boris da quel momento aspirò a poter prestare servizio non secondo la gerarchia scritta nel regolamento, ma secondo quest'altra non scritta”. Lo scrittore inglese C. S. Lewis citava questo brano di Tolstoj per dire il sistema contro cui si sarebbe scagliato per tutta la vita, quello delle varie élite costituite da coloro che, in qualsiasi ambiente, si ritengono gli “uomini validi”, gli unici veramente in grado ai loro stessi occhi di impugnare il timone della storia: sotto al pretestuoso nome di qualche interesse culturale, sociale o religioso in realtà “farne parte acquista un valore politico, anche se la politica in gioco è soltanto quella circoscritta di un reggimento, di un college, o del terreno recintato di una cattedrale. Pressioni sulle commissioni esaminatrici, appropriazioni di incarichi (da affidare alle persone “in gamba”) e il fronte unito contro i non abbienti divengono ora le sue principali occupazioni, e quelli che un tempo si ritrovavano per parlare di Dio o di poesia, ora si ritrovano per parlare di lettorati e benefici”.
La cricca manifesta “un senso di superiorità così radicato, da potersi permettere di mostrarsi tollerante, urbano, privo di enfasi”, ma sotto si cela “il fascino insidioso che si prova nel condividere con altri un odio o un risentimento”, visto che alla fin fine si tratta sempre e solo di “una classe teocratica o aristocratica” e “sappiamo bene che cosa pensassero i sacerdoti, all'epoca di Nostro Signore, della gente comune”: questo perché un gruppetto elitario di potere può andare avanti solo “fingendosi sordo alle opinioni del mondo esterno, respingendole come chiacchiere di chi sta al di fuori, di chi non può capire: dei formalisti, dei borghesi, del sistema, dei saccenti, dei moralisti e degli ipocriti”, macinando violenza e sopraffazione tra un sorrisetto e l'altro.
Lewis non è certo stato il solo nell'additare questo nemico: dall'altra parte del globo, in Australia, il poeta Les Murray ha steso un chiaro identikit di coloro che si ritengono superiori e si rivelano solo “superumani nell'accusa”, desiderosi di arruolare le masse per realizzare “un mondo / di gente riempita di sputi”. E respinge le profferte al mittente: “Mai riconoscerò le vostre pretese / neppure se innalzaste Gesù Bambino a Presidente del Paese di Bengodi / o ululaste per l'Elisir trovato, / m'irretirebbero le vostre aspettative / di casta”. Nel romanzo di Lewis “Quell'orribile forza” il protagonista riesce a strapparsi alle criminali lusinghe di un gruppo di potere accademico anzitutto grazie al richiamo di quello che chiamerà il “Normale”, i dettagli piccoli e grandi dei suoi affetti e persino dei suoi tic, i particolari gloriosi e ridicoli che esprimono la sua unicità come essere umano: “Un miscuglio di Jane, uova fritte, di sapone, di sole, di corvi gracchianti a Cure Hardy”. E non c'è niente che le élite, sempre pronte a pavoneggiarsi come “normalizzatrici” delle troppe anomalie in giro per il mondo, detestino come confrontarsi col buonsenso e la libertà di questo “Normale”, ad esempio nell'espressione della volontà popolare.
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