Il Cav. prenda atto che è finita, ora deve scendere dalla zattera della Medusa

Stefano Di Michele

Caro Cav., è finita. L'unica cosa che resta da fare, è decidere come finirla. Quando anche le soubrette abbandonano la scena, è ora di far calare il sipario. La musica pure è finita, gli amici se ne vanno – e quanti, inaspettatamente: tra i più cari, tra i più certi, a volte tra i più beneficiati. E questo che torcibudella e che ira e che rabbia! Lei dice che li vuole “guardare in faccia” – e per farne cosa, archivio segnaletico per un governo prossimo venturo che non ci sarà mai?

    Caro Cav., è finita. L'unica cosa che resta da fare, è decidere come finirla. Quando anche le soubrette abbandonano la scena, è ora di far calare il sipario. La musica pure è finita, gli amici se ne vanno – e quanti, inaspettatamente: tra i più cari, tra i più certi, a volte tra i più beneficiati. E questo che torcibudella e che ira e che rabbia! Lei dice che li vuole “guardare in faccia” – e per farne cosa, archivio segnaletico per un governo prossimo venturo che non ci sarà mai?

    Fossero poi stati i comunisti, i magistrati, i giornalisti a buttarla giù! Macché – tutto il cucuzzaro del Suo rigoglioso immaginario, invece: impresa e imprenditori, mercato e mercanti, sondaggi e televisioni e tutta la bella compagnia dei vertici internazionali, dove Lei sempre faceva la Sua figura – il più vecchio d'esperienza, certo non il più saggio, sempre teso e insieme solare come un otto di coppe. E infine, il suo partito, la sua creatura, le sue zucche cavate una a una dall'orto di Publitalia o da appezzamenti a più ardita coltivazione, ed elevate a dignità istituzionale: era una portaerei quel partito (rammenta: la Nave Azzura?), a leggere ora le cronache è solo la zattera della Medusa. Lei è deluso, caro Cav.

    E' rabbioso, e con ragione. E' stanco, ed è comprensibile. E vorrebbe fissarli ad uno ad uno – mentre Le votano contro: non tanto per conservare le loro facce – ma perché la Sua resti impressa nella loro memoria: per anni l'hanno scrutata come fosse il SS. Sacramento, s'avanzavano inchinandosi e inchinandosi rinculavano, ora vorrebbero spacciarla per il problema nazionale. Può farlo, caro Cav. – tutto può fare: è l'onore delle armi concesso a un condannato. Ma è l'ultima cosa che può fare.

    E se è l'ultima – sopra cui scorreranno i titoli di coda – le conviene lasciare la scena offrendo il petto ai colpi di chi Le ha voltato le spalle, sperando di fomentare tardivi sensi di colpa? Lei non ha né l'aspirazione al martirio né la struttura del martire. Persino quando con indubbia capacità lo ha fatto – il complotto! la persecuzione! – si capiva che si accorreva in soccorso non del perseguitato, piuttosto del vincitore. Della sua incredibile avventura, non deve perdere l'atto ultimo. Non deve ad altri concedere la scena. Non deve atteggiarsi a vittima (tanto nessuno per vittima la prenderebbe – a cominciare da quelli che allungano le lame nell'ombra), quanto a statista consapevole di essere al finale di partita – e di volerlo giocare da statista e non da tignoso capoazienda. Non li guardi per niente in faccia, caro Cav.

    Non guardi in faccia nessuno. Vada in Parlamento senza ulteriori attruppamenti con i fedeli rimasti per cercar di prendere con la coda gli infedeli in uscita – e parli alla Nazione, offrendo il petto al paese che l'ha eletto, non a quelli che ha fatto (con sfarfalleggiante ingenuità) eleggere Lei. Chieda l'ultimo sacrificio a tutti – le zucche del suo orto e gli ortaggi altrui – per l'approvazione di leggi e impegni che ci chiedono per non lasciarci sprofondare, e poi annunci che va via, che si leva di mezzo. E che, compiuta l'autoimmolazione, si va al voto. Pensi che uscita di scena, dopo mesi e mesi passati ha inseguire il nulla e le nullità! Le zucche torneranno zucche – ma Lei ha ancora qualcosa di più in gioco.