La strada più giusta stavolta è anche quella più diretta e più breve: elezioni
Nel migliore dei mondi possibili, le cose sono sempre chiare e semplici e la strada da percorrere per arrivare a una decisione è sempre quella dritta, che è anche la più breve. Se vivessimo nel migliore dei mondi possibili – e, fidatevi, l'Italia, a dispetto dei suoi detrattori, continua per molti versi a esserlo – Silvio Berlusconi dovrebbe presentarsi in Parlamento non solo per votare il rendiconto generale dello stato con la legge di bilancio, ma il programma di politica economica che recepisce i desiderata della Bce.
Nel migliore dei mondi possibili, le cose sono sempre chiare e semplici e la strada da percorrere per arrivare a una decisione è sempre quella dritta, che è anche la più breve. Se vivessimo nel migliore dei mondi possibili – e, fidatevi, l'Italia, a dispetto dei suoi detrattori, continua per molti versi a esserlo – Silvio Berlusconi dovrebbe presentarsi in Parlamento non solo per votare il rendiconto generale dello stato con la legge di bilancio, ma il programma di politica economica che recepisce i desiderata della Bce, e cioè che riforma, liberalizza, privatizza, razionalizza, abolisce le province, tiene a bada le regioni, alza l'eta pensionabile, taglia la spesa pubblica – a questo fine potrebbe prendere a esempio i francesi, che hanno deciso tagli per 65 miliardi in cinque anni – congelando il suo stipendio, l'indennità degli onorevoli deputati e senatori, quella di alti magistrati come i membri del Consiglio di stato, e dei vertici della Pubblica amministrazione.
Sarebbe un bel segnale per far capire a tutti che il tempo è scaduto e bisogna muoversi, perché non si può più tergiversare. Chieda su questo la fiducia al Parlamento. Se poi l'opposizione vendolista e dipietrista, i transfughi del Pdl, i molti delusi, gli scontenti, i cortigiani in volo verso altri lidi e i democristiani in ebollizione gli votassero contro, le cose almeno sarebbero chiare. Gli italiani capirebbero chi vuole, cosa e perché. A quel punto, Berlusconi dovrebbe salire al Quirinale e presentare nella mani del presidente della Repubblica le dimissioni. Utilmente, però, dovrebbe chiedere a Giorgio Napolitano di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni, senza tentazioni ribaltoniche. Vero è che, nonostante il sistema elettorale maggioritario, la nostra Costituizione prescrive che il presidente sciolga il Parlamento e indica nuove elezioni solo dopo aver accertato che alla Camera e al Senato non esista una diversa maggioranza possibile. Questa del resto era la prassi della Prima Repubblica, e quanti di noi ricordano il balletto surreale dei monocolori dc, dei governi balneari che a nient'altro servivano se non a camuffare, prorogare, estenuare l'assenza di volontà politica in seno al legislativo? Da vent'anni la regola è cambiata.
Il maggioritario ha introdotto il principio della responsabilità, contenendo le antiche prerogative del parlamentarismo. Non sarebbe un bel risultato per Berlusconi, artefice della rivoluzione maggioritaria, e nemmeno un gran vantaggio per il corpo elettorale, se lo dimenticassimo, tornando indietro nelle nebbie di un assemblearismo inconcludente. Nel migliore dei mondi possibili, quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare, mettendo in gioco tutto: faccia, natiche, ambizioni e persino la loro misera vita, pur di salvare un principio. Ma in Italia, per ora, nessuno sa se possiamo sperare che il Cav. prenderà questa strada per uscire dal pantano.
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