O riforme vere subito o dimissioni per assecondare i mercati. Ma forse è già tardi
Giusto o sbagliato che sia, i mercati scontano in anticipo quel che loro hanno deciso che prima o poi accadrà. Questa pare la prima regola del principio di realtà – chiamiamolo “spread” per brevità – applicato alle attuali turbolenze. La seconda regola, però, è che i mercati sanno anche reagire con tempestiva rapidità alle sorprese. Cioè i mercati sono sempre molto più veloci della politica. E' un bene? E' un male? E' così.
Giusto o sbagliato che sia, i mercati scontano in anticipo quel che loro hanno deciso che prima o poi accadrà. Questa pare la prima regola del principio di realtà – chiamiamolo “spread” per brevità – applicato alle attuali turbolenze. La seconda regola, però, è che i mercati sanno anche reagire con tempestiva rapidità alle sorprese. Cioè i mercati sono sempre molto più veloci della politica. E' un bene? E' un male? E' così.
Queste considerazioni possono far riflettere sui rapporti tra democrazia, regole della finanza e tempi moderni. Per esempio, è bastata l'idea (democratica) di indire un referendum in Grecia per scatenare la bufera sui mercati. Sorpresa, rapida reazione, caos, governo di unità nazionale. Giusto o sbagliato che sia, è così. Dunque conviene utilizzare queste due regole per il bene comune e nel più intelligente dei modi. Un dato di fatto è che i mercati, chiamiamoli “spread” per brevità, hanno sfiduciato il governo Berlusconi-Tremonti. Quindi che fare? O chinare la testa alla ferocia dei mercati che giustamente reclamano riforme e che oggi non si fidano di noi, cioè del fatto che questo governo possa fare le riforme che servono.
Sorpresa, un po' più di calma sui mercati. Oppure – lapalissiano – fare subito le riforme. O almeno tentarci in zona Cesarini. Diciamo che per chi di tv ha vissuto e vinto, perire politicamente per il cambio di casacca di Gabriella Carlucci non è proprio il massimo. Neanche uno scivolone su una questione tecnica come il rendiconto dello stato sarebbe degno di gran nota, come non lo sarebbe il pericolo scampato. Il professor Romano Prodi, nel 2008, diede a tutte le camarille di palazzo una lezione di fierezza ed eleganza istituzionale: andò in Parlamento e lì fu sfiduciato.
Da governo governò fino alla fine. Berlusconi non ha più scelta: o asseconda i mercati e si dimette o asseconda i mercati e porta oggi, ma oggi, in Parlamento le riforme promesse all'Europa e chiede su quello, decreto o maxiemendamento che sia, la fiducia. Ma oggi, anzi ieri, nel senso che forse è già tardi.
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