Tutti i dubbi degli ulivisti del Pd sul governissimo
Monti e la sconfitta della politica
Non riuscivamo a crederci e quindi alla fine lo abbiamo chiamato. Drindrin. Pronto professor Romano Prodi, ci scusi, ma davvero l'altro giorno lei ha detto, a una radio svizzera, che il governo tecnico “è una sconfitta per la politica”? Prodi fa una lunga pausa e poi gentilmente risponde alla domanda. “Proprio così”, dice Prodi.
Non riuscivamo a crederci e quindi alla fine lo abbiamo chiamato. Drindrin. Pronto professor Romano Prodi, ci scusi, ma davvero l'altro giorno lei ha detto, a una radio svizzera, che il governo tecnico “è una sconfitta per la politica”? Prodi fa una lunga pausa e poi gentilmente risponde alla domanda. “Proprio così”, dice Prodi.
“Lo sapete: Mario Monti lo conosco da molto tempo, siamo amici, non solo colleghi, è una persona di cui l'Italia si può fidare, è una garanzia importante per i mercati, è un punto di riferimento fondamentale per il mondo finanziario, ma detto questo un governo tecnico resta un governo tecnico; e un governo tecnico per la politica come la intendo io resta comunque una sconfitta per la politica”.
Ma sconfitta in che senso, professore? “Nel senso che in una società moderna come la nostra, in cui finalmente il bipolarismo ha cominciato a scorrere in modo fluido nel sangue della politica, non è incoraggiante vedere i partiti perdere il loro ruolo guida all'interno della democrazia. Per carità: una soluzione per l'Italia è importante che venga trovata in modo urgente, e il nostro paese non può continuare a essere utilizzato all'estero come se fosse il capro espiatorio di tutti i mali del mondo, ma una persona come me, che ha fatto del bipolarismo un suo tratto distintivo, non può che essere preoccupata dall'idea che una sconfitta della politica possa tradursi anche in una sconfitta del bipolarismo.
Questo no. Questo farei fatica ad accettarlo”. Eccolo dunque il ragionamento del professor Prodi. Ed è un ragionamento che pesa non soltanto perché a farlo è il predecessore di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi ma perché a farlo è un personaggio che ha fatto anche dello slogan della “serietà al governo” il suo cavallo di battaglia. Uno si chiede: ma Monti in fondo non è il simbolo di una nuova forma di “serietà al governo”? La risposta, secca, era sul Financial Times di ieri: “Leaders needed not just managers”, nel senso che i manager saranno molto bravi e molto preparati e molto autorevoli e molto seri ma per essere governati davvero i paesi hanno bisogno di leader, di leader veri.
Lo pensa il Financial Times. Lo pensa Prodi. Lo pensano anche tutti i bipolaristi a cui in queste ore, per utilizzare una metafora berlusconiana, gronda sangue dal cuore guardando dal buco della serratura quel governissimo in fieri che magari sarà pronto a sfidare i mercati ma che potrebbe tagliare le gambe al bipolarismo italiano. “Per noi ultrà del bipolarismo – dice al Foglio Arturo Parisi – il governo tecnico può essere un doppio problema. Da una parte è una sconfitta della politica per il suo esito: perché se siamo arrivati a questo punto significa che i partiti non di maggioranza non sono stati in grado di far funzionare la macchina della politica in modo naturale: con una coalizione che fallisce e con un'altra che prende il suo posto.
Dall'altra parte però il governo tecnico potrebbe, sì, far rilassare i mercati; ma potrebbe anche trasformarsi in un sonnifero letale per il nostro bipolarismo. Io non voglio cadere nel giochino delle elezioni sì o elezioni no, anche se sono convinto che le elezioni non siano il male assoluto. Ma allo stesso tempo sono convinto che tra mettere il destino di un paese nelle mani dei cittadini e metterlo nelle mani delle nuove tecnocrazie sia sempre preferibile la prima ipotesi”. Nelle parole dell'iperbipolarista prodiano Parisi, così come in quelle di Prodi, non è difficile decodificare anche l'altra preoccupazione che tormenta in queste ore i principi del bipolarismo italiano.
Quella, sì: mettere in mano l'Italia alle tecnocrazie europee. Un'espressione, questa, che però non deve trarre in inganno. Perché qui non si tratta di avere paura di far partire dalla pancia dell'Italia un cordone ombelicale in grado di far arrivare dall'Europa gli stimoli giusti per alimentare l'economia del nostro paese. Qui il problema è di carattere diverso: è un problema legato a coloro che tra una risata e un'altra in questo momento hanno deciso di intestarsi la guida dell'Europa. Perché la serietà al governo andrà pure bene, ok, ma pensare che dall'altra parte del cordone l'Italia si debba trovare a fare i conti con (i virgolettati sono tutti di Romano Prodi) i “diabolici Merkel e Sarkozy”, con quei leader “pazzescamente abituati a trasformare i vertici in occasioni in cui uno detta le regole e l'altro fa una conferenza stampa” e con quei presidenti alla Sarkozy che “provano a raffigurare il nostro sistema bancario in modo distorto quando sono le loro banche che sono messe peggio delle nostre e che con i loro titoli pubblici e altre cartacce hanno creato la crisi”, no, questo sinceramente no.
“Io – dice Stefano Esposito, quarantenne deputato bersaniano del Pd – credo che il rischio che oggi corriamo, quando parliamo di governo tecnico, è che ci sfugga di mano la situazione una volta dato il là a questo nuovo esecutivo. Mi spiego. Oggi questo governo nasce come reazione a un commissariamento avvenuto nel nostro paese, e un nuovo governo dovrebbe porre un freno a questa limitazione di sovranità. Per questo dico che a un vero democratico non può che mettere i brividi la sola idea che un nuovo governo invece che rendersi indipendente da un'Europa guidata dal direttorio franco-tedesco sia ancora più legato a questo direttorio. E allora mi chiedo: è davvero questo quello di cui ha bisogno l'Italia?”.
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