Chiedimi se sono felice
Non ho paura dell'antiberlusconiano cieco in sé, ho paura dell'antiberlusconiano cieco in me. Ma non per l'euforia da governo che cade il sabato sera, salvando tra l'altro molte coppie dallo sconforto coniugale del fine settimana, quando bisogna per forza frequentarsi: le dimissioni di Silvio Berlusconi hanno creato l'occasione notturna per uscire di casa o riempire di punti esclamativi i social network, brindare, abbracciarsi, festeggiare, ridere, suonare il clacson come dopo le partite, cantare “Bella ciao”.
Non ho paura dell'antiberlusconiano cieco in sé, ho paura dell'antiberlusconiano cieco in me. Ma non per l'euforia da governo che cade il sabato sera, salvando tra l'altro molte coppie dallo sconforto coniugale del fine settimana, quando bisogna per forza frequentarsi: le dimissioni di Silvio Berlusconi hanno creato l'occasione notturna per uscire di casa o riempire di punti esclamativi i social network, brindare, abbracciarsi, festeggiare, ridere, suonare il clacson come dopo le partite, cantare “Bella ciao”. E urlare qualche carineria come: buffone, fuori dai coglioni, vattene, sparisci, vergognati. Poi sputi e monetine, che sono un modo bizzarro di dimostrare la propria superiorità morale, esistenziale, etica e artistica, il proprio impellente bisogno di un uomo della Provvidenza in loden, dopo che la volgarità del Cav. ha creato tanto imbarazzo davanti alla comunità internazionale. Una festa è una festa, c'è sempre chi si ubriaca e dice idiozie, e se per festeggiare bisogna gridare a un presidente del Consiglio che si è appena dimesso: testa di cazzo, e poi correre a scrivere su Facebook che si prova una certa nostalgia della ghigliottina, come dicono a South Park non sono d'accordo con quello che urlate ma difenderò fino alla morte il vostro diritto a urlarlo (davanti alle telecamere, per fare una bella figura che restituisca credibilità al paese).
Non mi scandalizza l'antiberlusconiano cieco in sé, insomma, che con Pier Luigi Bersani grida: “Festeggiamo la liberazione” e non sente l'umiliazione di non essere riuscito a costruire nessun orizzonte, ma mi sconvolge l'antiberlusconiano cieco in me, quella cosa istintiva che mi ha fatto dire: era ora, basta, non se ne poteva più (queste parole vanno comunque usate sempre, come premessa di civiltà e di accettabilità sociale in ogni luogo, anche a una festina di bambini delle elementari, ovunque, per poter magari sommessamente aggiungere: non sono fiero di un governo tecnico che non abbiamo scelto, incitato, voluto), e dirlo anche senza avere nessuna vittoria da festeggiare, senza sapere che cosa cambierà, in una democrazia commissariata. Sabato sera è cambiato che Crozza non faceva più ridere, mentre in doppiopetto cantava il suo elogio funebre al Cav., “Ho fatto i cazzi miei” al posto di “I did it my way”. Però tutti dicono: senti che bel vento, che bello spread (è risalito subito come un pazzo, ma non si può dire perché è da disfattisti), che democrazia alta, e che vittoria, ma nessuno ha vinto le elezioni, nessuno ha detto: votatemi.
L'antiberlusconiano cieco in me poi, già minato dalla realtà, ha letto il commento in prima pagina sull'Unità della scrittrice Clara Sereni, ieri: a parte i paragoni con il fascismo, ha scritto che, una volta sgombrate le macerie (non adesso), bisognerà ricominciare a progettare (non a fare, a progettare). “Sapendo di dover smettere di essere figli e farci completamente adulti”. L'alibi del berlusconismo è già stato sostituito dall'alibi delle macerie e del passaggio all'età adulta, ma perfino dalla necessità di liberarci tutti dalle “cellule di berlusconismo che si sono radicate in noi, nessuno escluso”. Quanti decenni e quanti governi tecnici di sobri banchieri in loden ci vorranno per purificarsi anche dall'ultima cellula berlusconiana e combinare finalmente qualcosa? Nel frattempo, bisogna chiedere se siamo felici, e rispondere ciecamente sì.
Il Foglio sportivo - in corpore sano