Un'espressione geografica/ 5

Una democrazia commissariata non è mai una democrazia virtuosa

Claudio Cerasa

Immaginate, solo per un istante, che cosa sarebbe successo a parti inverse: con un Pier Luigi Bersani al governo, con una crisi economica bestiale, con uno spread alle stelle e con un presidente del Consiglio sostituito in corsa da un altro presidente del Consiglio molto bravo, molto simpatico, molto serio, molto rigoroso ma semplicemente non eletto dal famoso popolo sovrano. Insomma: è probabile che ci sarebbe stata una mezza rivoluzione se il presidente del Consiglio salito al Quirinale per dimettersi sabato sera avesse avuto un nome diverso da quello di Silvio Berlusconi.

    Immaginate, solo per un istante, che cosa sarebbe successo a parti inverse: con un Pier Luigi Bersani al governo, con una crisi economica bestiale, con uno spread alle stelle e con un presidente del Consiglio sostituito in corsa da un altro presidente del Consiglio molto bravo, molto simpatico, molto serio, molto rigoroso ma semplicemente non eletto dal famoso popolo sovrano. Insomma: è probabile che ci sarebbe stata una mezza rivoluzione se il presidente del Consiglio salito al Quirinale per dimettersi sabato sera avesse avuto un nome diverso da quello di Silvio Berlusconi, e non c'è certo bisogno d'essere berlusconiani “de fero” per capire che il commissariamento temporaneo della democrazia può avere tutte le giustificazioni del mondo (lo spread, i mercati, le Borse, gli affari, le banche) ma alla fine dei conti sempre commissariamento della democrazia resta.

    Si dirà: ma non importa, eddai, ma non è questo il ragionamento da fare, ma come fai a non capire, ma non lo sai che per salvare l'Italia bisognava mandare a casa Berlusconi, ma non ti rendi conto che ora tutto sarà più semplice, che ora ci saranno le riforme, che i mercati gradiranno, che lo spread si abbasserà e che finalmente l'Italia potrà vivere un suo nuovo formidabile Risorgimento? Chi lo sa: magari andrà così. Magari con questo nuovo governo verranno fatte tutte le riforme che in diciassette anni non sono riusciti a fare né Berlusconi né tutti coloro che hanno governato tra un Berlusconi e l'altro (e sarà comunque uno spasso vedere nelle prossime settimane il Pd alle prese con quella riforma delle pensioni che ci chiede da anni l'Europa e che il Pd ha sempre respinto e con quella riforma del mercato del lavoro che ci chiede da anni l'Europa e che il Pd ha sempre respinto). Ma per quanto possa essere piacevole, per un non berlusconiano, immaginare che Berlusconi si sia finalmente tolto dalle scatole non è pensabile che fino alla fine, in nome del tutto tranne Berlusconi, si possa accettare qualsiasi cosa: persino che una democrazia commissariata possa essere definita come una democrazia finalmente virtuosa e persino che in determinate condizioni il destino della nostra democrazia possa essere deciso non dagli elettori ma da un differenziale di rendimento.

    E poi, su, pensateci ancora un attimo:
    in questi ultimi mesi sono stati sei i paesi che hanno visto cadere il proprio governo durante la crisi finanziaria. Portogallo. Irlanda. Spagna. Grecia. Islanda. Ora l'Italia. Tutti paesi che hanno convocato elezioni immediate subito dopo la caduta del governo. In Italia no. In Italia la situazione era molto più drammatica, certo: perché in Italia, lo sappiamo, era molto meglio un governo spread (che tra l'altro ieri non è andato bene, però ora finiamola di fare gli allarmisti eh).

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.