Verso gruppi autonomi, nel Pdl caos e un'opa dissimulata postberlusconiana

Salvatore Merlo

Tutto si decompone, non solo nel polo di centrodestra che Roberto Maroni ha archiaviato ieri (“l'alleanza è rotta”), ma anche nel Pdl. Saverio Romano e Daniela Santanchè preparano un gruppo parlamentare autonomo, all'opposizione del governo tecnico che Mario Monti dovrebbe formalizzare oggi al Quirinale. La chiamano “rivolta democratica”, è una reazione al misto di ambizione e dissoluzione che sta investendo in queste ore il Pdl.

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    Tutto si decompone, non solo nel polo di centrodestra che Roberto Maroni ha archiaviato ieri (“l'alleanza è rotta”), ma anche nel Pdl. Saverio Romano e Daniela Santanchè preparano un gruppo parlamentare autonomo, all'opposizione del governo tecnico che Mario Monti dovrebbe formalizzare oggi al Quirinale. La chiamano “rivolta democratica”, è una reazione al misto di ambizione e dissoluzione che sta investendo in queste ore il Pdl tormentato da dubbi intorno al governo tecnico e minacciato dal super attivismo di Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini che nel Pdl vedono una prateria di voti e personale politico da arruolare.

    Si sono visti e ne hanno parlato a lungo, l'ex ministro dell'Agricoltura e la ex sottosegretaria alla presidenza del Consiglio. Romano porterà i quattro parlamentari della sua formazione, il Pid, il resto lo mette lei, Daniela Santanchè, che si muove un po' d'accordo (un po' no) con Ignazio La Russa e Denis Verdini. “E' facile commissariare un Parlamento di nominati”, dice Romano. “Se è per un tempo limitato questa violazione del diritto di rappresentanza la si può anche accettare, altrimenti no. Se Monti pensa sul serio di impedire le elezioni e arrivare al 2013 noi faremo un gruppo parlamentare di resistenza democratica”. Saranno Romano e Santanchè a non votare la patrimoniale che Silvio Berlusconi ha avversato per oltre due anni. “Siamo disposti a subire, ma nella misura in cui sia chiaro che questo è uno stato di eccezione e che l'unico orizzonte sono le elezioni anticipate”.
    Il contesto del partito berlusconiano è esulcerato da conflitti che deflagrano nella paura del voto. Secondo la maggior parte dei dirigenti del Pdl, le urne sarebbero “un bagno di sangue”.

    La paura, che ha spinto uomini come Franco Frattini a diventare ambasciatori del “montismo” alla corte del Cavaliere, si mescola all'ambizione dei tanti che già immaginano archiviata la stagione del bipolarismo e legittimamente cercano, come Roberto Formigoni, altre strade. I Fabrizio Cicchitto, i Gaetano Quagliariello, e dunque un pezzo significativo della vecchia Forza Italia, coltivano l'idea che un anno o più di governo Monti possa offrire al Pdl il tempo per riorganizzarsi, finalmente liberi da Giulio Tremonti e dall'alleanza con la Lega. Ma questa idea già si infrange sulle manovre di Casini, che contatta gli ex democristiani alla Beppe Pisanu e alla Claudio Scajola e raggiunge vecchi liberali considerati fedelissimi del Cavaliere (i nomi si sapranno presto).

    Il Terzo polo tenta un'opa ostile. Gianni Alemanno torna a stringere la mano di Fini, prima un'alleanza a Roma (“senza di loro non si vince”), poi chissà.(segue dalla prima pagina)
    Quando Italo Bocchino, il plenipotenziario di Gianfranco Fini, ha fatto capire che Mario Monti potrebbe essere – sostenuto dal Terzo polo e dal centrosinistra – un candidato alla presidenza del Consiglio, ieri per qualche ora il Pdl è entrato nel panico e il governo tecnico di Monti ha vacillato sul serio. Bocchino forse ha rivelato sul Corriere i pensieri meglio riposti e segreti dell'Udc e di Fli, ma certamente ha dato voce ai timori più forti ed espliciti che scuotono ampi settori del Pdl, che ieri, di fronte ai sostenitori dell'opzione Monti hanno potuto dire: “Puntano alla scomposizione di tutto il sistema, dopo averci buttato fuori dal governo con un colpo di mano ci vogliono anche fregare alle elezioni”. Non è un caso se Fini in persona ha voluto far conoscere la sua valutazione delle parole di Bocchino: “Un errore”, le ha definite in privato il presidente della Camera.

    L'interesse del Terzo polo è che l'accordo sul nuovo governo si chiuda. Solo dopo, con calma, col tempo, cominceranno le grandi manovre verso la “decomposizione e ricomposizione” che Cirino Pomicino descrive sempre ai suoi interlocutori. Gli uomini della ex Forza Italia, e forse anche Angelino Alfano e Renato Schifani, pensano che si possa resistere alle lusinghe, e che la maggioranza berlusconiana del Senato sia una garanzia: “Stacchiamo la spina quando vogliamo”. E in effetti è così. Per adesso. Ma col tempo, nei diciotto mesi di cura Monti, può accadere qualsiasi cosa e le garanzie che Alfano ha chiesto al Quirinale (se un solo partito contraente si sfila si va al voto, anche in caso di fuoriuscite di singoli parlamentari) davvero potrebbero non servire a niente, come pensa Daniela Santanchè e come crede anche Ignazio La Russa.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.