Islamabad confidential
Altro che insofferenza pachistana verso le ripetute violazioni della sovranità nazionale da parte di droni e operazioni speciali americane. Nove giorni dopo il raid a casa Bin Laden, gli Stati Uniti erano stati chiamati a salvare il Pakistan dal colpo di stato militare. Lo dice un intermediario usato dall'ambasciatore pachistano a Washington, Husain Haqqani (che oggi deve chiarire retroscena molto imbarazzanti, in un incontro a Islamabad).
Altro che insofferenza pachistana verso le ripetute violazioni della sovranità nazionale da parte di droni e operazioni speciali americane. Nove giorni dopo il raid a casa Bin Laden, gli Stati Uniti erano stati chiamati a salvare il Pakistan dal colpo di stato militare.
Lo dice un intermediario usato dall'ambasciatore pachistano a Washington, Husain Haqqani (che oggi deve chiarire retroscena molto imbarazzanti, in un incontro a Islamabad). Richiamato d'urgenza in patria, il diplomatico dal cognome evocativo deve spiegare al presidente Zardari perché un torbido affarista statunitense di origini pachistane, Mansoor Ijaz, lo accusa di aver chiesto aiuto all'ammiraglio Mike Mullen, capo di stato maggiore americano, per salvare Islamabad dal colpo di stato militare. Ijaz, che per non passare inosservato ha scritto tutto sul Financial Times, racconta che il 9 maggio, poco più di una settimana dal raid in cui è stato ucciso Osama bin Laden, un umiliatissimo Asif Ali Zardari, presidente del Pakistan, aveva implorato la Casa Bianca di aiutarlo a sfuggire alle presunte mire golpiste del generale Ashfaq Kayani, capo delle forze armate di Islamabad.
Un "importante diplomatico pachistano" aveva chiamato Ijaz, istruendolo sul da farsi: bisognava contattare l'ammiraglio Mullen – "amico fidato del Pakistan, che avrebbe portato con chiarezza il messaggio sia al presidente Obama sia al generale Kayani", scriveva Ijaz – e consegnargli una nota anonima "per conto del capo". Nel memorandum (che il pachistano The News ha pubblicato in una versione tutta da verificare) si prometteva che, in cambio del sostegno americano, Zardari avrebbe eliminato la sezione S dell'intelligence pachistana, quella che intrattiene rapporti fin troppo stretti con talebani e qaidisti.
Cinque mesi dopo, Ijaz non si è limitato a raccontare quasi tutto al quotidiano finanziario della City e a sciogliere nel giro di poco il segreto sul diplomatico pachistano. Ha atteso che l'ammiraglio Mullen, il più duro di tutti con il Pakistan confermasse di aver ricevuto il memorandum per inondare la stampa pachistana di dettagli: alle 9.06 del 10 maggio, in una telefonata di undici minuti e sedici secondi., Haqqani gli diceva che aveva "l'approvazione del capo", si poteva mandare tutto. Alle due del pomeriggio, "un mio interlocutore americano" (l'ex generale dei marine James Logan Jones, che ha ammesso tutto) consegnava tutto a Mike Mullen. E poi via con tutti i messaggi scambiati con Haqqani via BlackBerry e dettagli su un incontro con il capo dell'intelligence pachistana, che ha chiesto spiegazioni il 22 ottobre in un albergo londinese.
Minacciato di querele, Ijaz ha risposto con le parole di Gordon Gekko, forte dei suoi 27 anni di esperienza a Wall Street: "Tu smettila di direbugie su di me, e io la smetterò di dire la verità su di te". Ora Haqqani dove spiegare al presidente Zardari com'è che su quel memorandum anonimo, che chiedeva un "intervento diretto per una risposta energica e urgente", c'è finito il suo nome. C'ha provato ieri, oggi ci riproverà di nuovo.
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