Dall'ansia alla grande noia

Stefano Di Michele

E ora, che fare del dito medio? Niente: si chiude la mano a pugno, lo si lascia un po' avanzare rispetto alle altre dita, e toc toc toc, si usa solo per bussare alla porta. Così consigliavano da Fabio Fazio (che è come il galateo della Contessa Clara che fu), rieducazione degli arti, nell'era nuova dove ansia non avremo più e di sobrietà ognuno dovrà far mostra – a volersi decentemente accreditare. Il ripiegare del Cav. verso il fortino di Arcore – e a voler lasciare stare tutto il resto, dal neocolonialismo Frau & Monsieur alle banche sopra le panche, dalle agenzie che fan pipì fuori dal vasino e sulle nostre testoline all'autocastrazione della politica – un primo effetto l'ha segnato.

    E ora, che fare del dito medio? Niente: si chiude la mano a pugno, lo si lascia un po' avanzare rispetto alle altre dita, e toc toc toc, si usa solo per bussare alla porta. Così consigliavano da Fabio Fazio (che è come il galateo della Contessa Clara che fu), rieducazione degli arti, nell'era nuova dove ansia non avremo più e di sobrietà ognuno dovrà far mostra – a volersi decentemente accreditare. Il ripiegare del Cav. verso il fortino di Arcore – e a voler lasciare stare tutto il resto, dal neocolonialismo Frau & Monsieur alle banche sopra le panche, dalle agenzie che fan pipì fuori dal vasino e sulle nostre testoline all'autocastrazione della politica – un primo effetto l'ha segnato: l'ansia è scomparsa – quel tremare di Borsa e borsetta, quello scrutare con occhi spiritati i teleschermi, quella perenne assemblea dolente e precaria vuoi da Formigli vuoi da Floris, l'armata dell'indignazione e il pattuglione dei giornalisti indignati.

    Corrotti. Mafia. Mignotte. Papponi. Soldi. Latitanti. Debiti. Cash. Crash! Fine mese. Lavoro. Stipendio. Spread. Spread. Lunedì mattina! Mercati! Mercati rionali (“nun ce la facemo più!”). Avvocati. Udienze. Corna. Leggine. Kapo! Sciopero. Giudici. Nipote. Nipotina. Parente stretta. Caimano. Cainano. Bestie! Tonfo! Tonfo! Tutto elegante: chiedere a Rossella! Bruciano i miliardi! Tremonti? Non c'è Tremonti! Dieci sottosegretari ancora per me, dieci ragazze per me (oh, Battisti!)!

    Sarkò guarda altrove! Angela passa cieca e muta! Il Cav. fissa il vuoto! Spread. Spread. Il baratro. L'orlo. Traditori! Il baratro. Dentro. Scaduto! Baratro finale! Di crepacuore ogni dì si moriva – e giusto il Tg minzoliniano uno doveva guardare se le palpitazioni sotto controllo voleva tenere – che pareva allora di stare nella serena e spettrale Pleasantville, calma tutti, servizio pubblico al massimo grado. E' come se partito il governo Monti – un po' Mario e i suoi cari, rimembranza di antica battuta di Andreotti, un dì in affollata trasferta con Craxi verso oriente, “andiamo in Cina con Craxi e i suoi cari” – quasi una bonaccia, certo non di Antille, ché quella alla decomposizione portava, mediterranea, ecco, che ieri ha avuto autorevolissima certificazione meteo-politica dal presidente Napolitano, custode supremo delle regole e dei marosi, “da tempesta a mare mosso”. Nessun crudele Achab alle viste – nella fine dell'ansia che solleva i petti, delfini danzanti ci sembra di vedere, non balene furibonde e bellissime.

    L'ansia porta a questo stato tra il necessario torpore, dopo anni e anni di ansiosa vigilanza, e la fanciullesca fiducia. Lo spread va ancora dove cazzo gli pare – e soprattutto va all'insù, all'insù, all'insù: schizza, erutta, salta; le Borse all'ingiù, all'ingiù, all'ingiù: precipitano, s'afflosciano, collassano, ma niente problemi, Super Mario con il loden verde, come Superman col pacco in vista, va e tutto sistema – che intano tutti si complimentano, da Barroso alla Merkel, da Sarkozy a Obama, che fino all'altro giorno sembravamo i figli della serva, come quelli di “Miseria e nobiltà”, e perciò “Vincenzo m'è padre a me!”, e volete mettere se padre – putativo, governativo – è invece il Sen. (a vita, mica a cottimo) e Prof. Mario?

    Siamo rilassati, adesso, di colpo d'ansia privati – a Mario tutti lo salutano, tutti lo omaggiano, lui non fa cucù neanche ai labrador quando li incontra, e non sbarca Lavitola dalla scaletta e una cavallona bionda destinata a chissà quale derby in terra straniera. Eravamo stanchi di ridere – che pure, quanto abbiamo riso con il Cav.!, persino mentre c'incazzavamo e dicevamo di vergognarci, e giornalisti e carrozzieri e porchettari democratici a strizzar di sdegno er naso proletario che si faceva nasino nobiliare, di nobiltà democratica e formale, mentre quello urlava: Mr. Obama! Mr. Obama!, e la regale e vecchia carampana si risentiva: chi urla così?, e di sdegno aristocratico pure er pizzettaro s'empiva: urlare in tal modo, davanti a Sua Maestà! Cafone! I democratici non urlano davanti alle regine! – ma le risate e l'ansia, l'ansia e le risate: adesso ci divertiamo!, adesso facciamo un'altra figura di merda! Niente è rimasto, solo qualche oggetto che galleggia nel nulla come dopo un naufragio – che sia Titanic o sia pattino la discussione è aperta: un coglione! avanzato a La Russa per un comico, l'ardimentoso wagneriano Facci che quasi veniva alle mani con quel Sigfrido dei Cobas di Bernocchi, e il Giornale che giura che “la barca affonda” e che il Prof. dai lombi bocconiani fa flanella – ma tra affondamenti in corso e affondamenti propri, pure lì stanno come la capitaneria di porto in certi tristi frangenti. E invece noi tutt'altri, ansia più non abbiamo.

    Come se tutto il sanbittèr su cui abbiamo sospirato e infine ci siamo turbati, si fosse mutato in damigiane di Fiori di Bach, quelle gocce che le femmine democratiche metropolitane assumono a ragione di ansia perenne a perenne pericolo democratico. Tutti elettrici, eravamo, tutti da ansia presa, scorrevano le benzodiazepine – paura e apprensione e preoccupazione, palpitazioni, dolori al petto, respiro corto, nausea, tremore interno – che sarà dottore? il berlusconismo, signora mia! Madonna, come agnelli tra i lupi stiamo! La pressione è alta – se non ora quando, e dimmi quando quando quando, dimmi quando te ne andrai; la pressione è bassa, e ricordate Giorgio Gaber, “schiaffeggio controvoglia / la sveglia / mi alzo e vado a pisciare / di pessimo umore. / Da anni la scena / è sempre la stessa…” – e quindi: “C'ho l'ansia. C'ho l'ansia. C'ho l'ansia. C'ho l'ansia”. Adesso, come nella vecchia pubblicità dell'olio Sasso – e la pancia non c'è più! e la pancia non c'è più! e la pancia non c'è più! – così l'ansia.

    Di colpo chetati, calmati, ammortizzati. Che c'ha dato, dottore? Diazepam? Lorazepam? Clonazepam? Alprazolam? Betabloccanti. Ansiolitici. Antidepressivi. Antidepressivi triciclici. Niente, niente, mezza pastiglia Monti – che come l'aspirina a tutto soccorre, che come la Falqui è parola che basta e poi beneficio che giunge, che è, farmacisticamente parlando, la Soluzione Schoum. Il respiro ha ripreso un ritmo normale, come certi deputati maratoneti, adesso a New York potremmo andare a correre la maratona, la tachicardia è cessata, il cerchio alla testa sparito. Niente ansia, tranquillo, disponibile: anche il venditore di rose pare rompere meno i coglioni, la sera in pizzeria. La vista nostra si è fatta come quella dell'ottico che cantava De André, “e poi la luce, luce che trasforma / il mondo in un giocattolo. / Faremo gli occhiali così! / Faremo gli occhiali così!”. Ci aspettano, ha detto il Prof. Monti, non lacrime e sangue – macché, roba di Churchill con quei brutti ceffi nazisti, noi abbiamo la Merkel democratica, perciò sacrifici, ecco, ma con gioia, con animo disponibile, con ansia cancellata – ora, per dire, lo spread mattutino da un orecchio c'entra e dall'altro esce.

    Tutto ciò che era disordine va a mirabile ricomponimento, tutto ciò che era torcibudella si muta in calma attesa, in fervida aspettativa. Qualcosa, certo, rischiamo di perderla – insieme al peggio, il meglio. Intanto, a parafrasare Orson Wells, ci sono voluti i Borgia per avere poi Raffaello, e nella vicina Svizzera (di sobrietà velata, così velata da essere nebbiosamente sobria) cinque secoli di assenza di lotta e guerra hanno prodotto l'orologio a cucù – e al più, ma dopo secoli, Michelle Hunziker. Insomma, benedetta l'assenza di ansia, ma non si corre il rischio del banco frigo, del precotto, di quattro salti in padella senza farne altri nel mondo reale? Il molto (il troppo) che il Cav. ci ha donato – e soprattutto si è donato – si può forse pareggiare con il molto (il troppo) che ci si chiede di mutare?

    Del tutto pacificati non si può stare, un filo d'ansia, appena un filo, tiene desti e vigili – e così pur con le migliori intenzioni, noi tendiamo a mutare in eccesso anche ciò che lodiamo come condanna dell'eccesso, e se il Prof. Monti non dà una regolata a tutti quelli che ne cantano e ne lodano non tanto le capacità governative né quelle economiche (che anzi, qui a ringraziamento l'Alleluia di Händel andrebbe suonato tutta e per esteso, piuttosto che sul mesto ripiegare berlusconiano), piuttosto la panna montata della retorica della sobrietà – appunto: il bloc-notes spartano, la spartana palandrana, la pensosa borsa, la defilata consorte, l'ineccepibile cane, il frugale desinare – un lodare che sull'abisso della macchietta può trascinare. Vero che finalmente il Prof. fa quello che un comune statista deve fare: studia, telefona, parla poco, esce e va a Messa, esce e va a vedere la mostra sul Botticelli, non ha telefonini panamensi – sta a casa sua, essendo casa sua adesso la facoltà di Palazzo Chigi, non gira la macchina la sera verso il castello di Tor Crescenza. Mica male, da governati, la sensazione di sapere sempre dove si trova e cosa fa (più o meno) il governante. Con la certezza che se uno va a rovistare nella sua agenda, ci trova tutte cose alte e appropriate e noiosissime – e meno male che Mario c'è, e che a colazione con quelli della Bce o con quei grigiovestiti europei ci va lui, manco morti noialtri (sobrietà da declamare, pure da praticare è un po' troppo), altro che l'agenda del Cav., di cui un giorno improvvidamente ai giornalisti una pagina mostrò, e tra cose governativamente dovute e antichi afflati risorgenti (h. 16,00 Previti), figuravano anche, senza orario ben definito, né ben definito appariva il tema del colloquio, Evelina Manna e Antonella Troise, attrici, intervallate dall'udc Staderini, e alle ore 20,30 una non meglio specificata Selvaggia – il cui esatto impatto sul mercato dei titoli è peraltro rimasto ignoto.

    Cosa resterà di questi anni che verranno – e se Raf sarà ancora in attività, a lui toccherà metterli in musica – non è cosa prevedibile. Magari un bel centrodestra come si deve, e un bel centrosinistra laburista come si deve dall'altra parte, di qua e di là, pur se i terzisti fanno capoccetta, e rosicchiano piano piano, e pare che di colpo di molta Democrazia cristiana si abbisogni – che quella, la Dc, per toglier ansia era una mano santa, un affidarsi certo, un adagiarsi consolante. E sarà mica un caso che mentre Monti e monticiani ministeriali s'insediano, una mostra che ripercorre l'antica grandezza scudocrociata debutta – e tutti lì, i democristiani sparpagliati in terre di missione, dai democratici ai berlusconiani ai rutelliani: ecco, alleluia!, “governo ottimo, fine diaspora Dc!”, esulta Casini. E come per allora, forlanianamente rieccoci, “ragazzi: domande incisive, risposte evasive”.

    Non abbiamo più ansia, adesso – pur persistendo tutti i motivi di ansia, ma una grandezza governativa è questa: darne minor percezione possibile. E la gloria del Cav. è stato il suo sole in tasca, e perciò meno male che Silvio c'era – fino a che il sole in tasca impediva all'ombra di cadere sui pensieri italici, e quindi meno male che Mario c'è. Poi, ha finito solo con l'illuminare meglio novelli pensieri oscuri. Tutto alla nuova stagione di periglio e di assenza di ansia concorre: Repubblica quasi non trova più le parole per dire il gran bene che deve dire, e se una volta erano dieci domande al giorno, adesso al giorno sono almeno dieci complimenti. Il Corriere, da parte sua, sta sfornando una biblioteca – tra Einaudi e Croce e Sturzo – che pare fatta apposta a chetar l'anima e a rianimar lo spirito italico, il tutto idealmente e benissimo accompagnato da un appropriato bicchiere di rosolio. Non son più giorni di vulcani finti e farfalline prese in bigiotteria e musicamenti apicelliani. Giorni gozzaniani, piuttosto – che lì, nell'apposita opera, tutto si trova, persino il passaggio dall'era della escort, intesa cocotte (“Una cocotte!…”. “Che vuol dire, mammina?”. “Vuol dire cattiva signorina: non bisogna parlare alla vicina!”) a quella della signorina Felicita (“Sei quasi brutta, priva di lusinga / nelle tue vesti quasi campagnole, / ma la tua faccia buona e casalinga, / ma i bei capelli di color di sole, / attorti in minutissime trecciuole, ti fanno un tipo di beltà fiamminga…”), così che nessun dubbio e nessuna diceria sia possibile – e ora bravura e capacità siano gli unici strumenti di misura, mentre il fantasma di Nicole langue ed evapora, che l'animo nostro in ansia stringeva e l'indignazione mordeva. E sarà così un apologo gozzaniano a cingere la fresca fronte governativa – tra il lodare e l'appisolare, esecutivo non certo di morte cose, ma di cose fino a ora quasi introvabili – quello che Monti rappresenterà: “Il Cav. impagliato e il busto d'Alfieri, di Napoleone / i fiori in cornice / le buone cose di pessimo gusto / qualche raro balocco / il cappotto di loden / il notes della cartoleria, salve, ricordo, le noci di cocco…”.

    Tutto è ancora da fare – l'Italia da salvare, le riforme da impostare, la grandezza da riconquistare. Tutto come il Cav. l'ha lasciato – ma appunto: il Cav. ha lasciato. E se i mesi ultimi erano quelli in cui l'italiano pronto a farsi indignato pativa di bruxismo (cioè i denti digrignava, non potendo i denti dove voleva affondare – volendo, in quelle chiappe di cui pure incautamente al telefono si parlava), ora scende questa nebbiolina rassicurante – un incanto di caldarroste, di tepore che pure mai è stato così a rischio, di tutto ciò che fu oltre e trasgressivo, proprio a cominciare dal Cav., in ordinario e normalizzato. Persino Vladimir Luxuria, che un dì certi pidiellini dal cesso montecitoriano delle donne volevano cacciare, andrà a presentare “L'isola dei famosi”, roba per famiglie, suppur di stomaco forte, e chissà se un giorno non toccherà a lei spedir missive come la De Filippi per rincollare matrimoni e mettere pace tra babbo e mamma – con cordiale compiacimento (essendo il tutto adeguatamente contestualizzato) di monsignor Fisichella. E non è forse, il trionfo, di bravura e di ascolti, di Fiorello, l'onda magica di Monti – lo spettacolo che ne è consacrazione ed elevazione, intelligenza e leggerezza, l'ansia che fugge, il cor che s'alleggerisce. E tutto ciò che tanto ha tormentato il Cav. – e che tanto pesava di notte sugli stomaci più democratici, quale azzardata peperonata: i talkshow, i chiacchieroni televisionari, la folla di “gggente” che schiamazzava, qualche bellezza dal pertugio di Palazzo Grazioli sfuggita, destinati a una rapida riconversione, a farsi pensosi piuttosto che ciarlieri, a modulare gli interventi invece che recitare intercettazioni. E' la diaspora triste di quelli lì accampati – gli indignati professionali, i ministri cazzoni, i conduttori esagitati, ché persino Pier Silvio avrebbe voluto Floris a Canale 5, e adesso è tutto un rassicurare che le nuove news che verranno saranno equilibrate e buone e belle – impeccabili, giuriamo, vedrete.

    L'ansia che il Prof. Monti ha di colpo cancellato, adesso bisogna operare perché non torni – e il Prof. e la sua Facoltà sanno benissimo come si tiene l'ordine in classe, non hanno la liberalità festaiola e cogliona di tanti loro predecessori. Una discarica di scarti televisivi si aprirà – neanche buoni per il riciclo in Cina: non all'infinito, il sottobosco potrà ancora farsi foresta. E il più grande segno di continuità e insieme di discontinuità è forse la sorte dei Letta: Gianni, da tutti omaggiato; Enrico, da ognuno lodato; il terzo in spirito, da Rutelli evocato. E ci saranno, forse, mentre Mario andrà in giro per l'Europa con il suo loden verde, pari ripartizioni di guai giudiziari – qui e lì e persino là. Tutto come prima, niente come prima. Sono i giorni della valeriana, questi giorni monticiani – dove tutto resta da fare, ma dove pare possibile farlo. Pare. O forse è un'illusione anch'essa. Ma autunnale: nebbiolina rassicurante, dopo tanto sole in tasca e come aureola.