Cairo diario
Il problema in piazza della Fratellanza
La notizia, tenuta nascosta, è che un rappresentante della Fratellanza musulmana avrebbe partecipato alla riunione d'emergenza tra governo e militari del 21 novembre per decidere che cosa fare durante la seconda rivoluzione scoppiata a piazza Tahrir – entrata ieri nel quinto giorno di scontri violenti. Sarebbe la prova che la Fratellanza sta orchestrando la crisi assieme al Consiglio supremo dei militari: i vincitori probabili delle elezioni parlamentari che iniziano martedì prossimo vanno a braccetto con i militari che detengono il potere.
Il Cairo, dal nostro inviato. La notizia, tenuta nascosta, è che un rappresentante della Fratellanza musulmana avrebbe partecipato alla riunione d'emergenza tra governo e militari del 21 novembre per decidere che cosa fare durante la seconda rivoluzione scoppiata a piazza Tahrir – entrata ieri nel quinto giorno di scontri violenti. Sarebbe la prova che la Fratellanza sta orchestrando la crisi assieme al Consiglio supremo dei militari: i vincitori probabili delle elezioni parlamentari che iniziano martedì prossimo vanno a braccetto con i militari che detengono il potere.
La concessione più grande fatta due giorni fa dal capo dei militari, il generale Tantawi, al paese durante il suo discorso tv è l'annuncio di elezioni presidenziali entro il giugno 2012, e non più nel 2013 come ormai si credeva. E' un favore alla Fratellanza: più le presidenziali sono ravvicinate, più la loro organizzazione prevarrà sulla disorganizzazione e l'inesperienza dei partiti rivali. E sarebbe anche la prova dell'alleanza: aiutateci a navigare la crisi – è l'offerta dei militari – e possiamo accordarci sul resto. Questo spiega la rabbia della piazza contro i Fratelli, percepiti come abili manipolatori. Un loro rappresentante, Beltagi, uno dei più vicini ai giovani e ai manifestanti, è stato cacciato a forza da piazza Tahrir quando ha tentato di arringare la folla. La Fratellanza nella sua doppia identità, l'organizzazione e il partito, ha annunciato che non partecipa alla manifestazione permanente di piazza Tahrir con motivazioni vaghe come “non vogliamo creare problemi al traffico” o “abbiamo a cuore la stabilità del paese”. “L'85 per cento degli egiziani è d'accordo con noi, bisogna evitare il bagno di sangue”, ha dichiarato con un comunicato emesso nel momento peggiore, nella serata di domenica, mentre le forze di sicurezza uccidevano almeno una ventina di manifestanti. Ieri l'imam di al Azhar, autorità religiosa per i Fratelli e per il mondo islamico, ha chiesto alla polizia di non sparare “per nessun motivo”.
Molti Fratelli e molti salafiti si sono presentati spontaneamente e stanno partecipando agli scontri. Li si vede con la barba senza baffi e l'orlo dei calzoni alto – come prescrive la regola dei duri e puri – in mezzo ai giovani metropolitani che costituiscono il nucleo più numeroso e attivo delle proteste. “Sì, sceicco, le ragazze sono in jeans e senza velo, ma sono coraggiose, ci stanno dando una mano”, può capitare di sentire dire al telefonino. Ma la leadership è sbilanciata verso il governo e lo status quo, esattamente come lo era a gennaio, quando rifiutarono di intevernire in piazza, nonostante ora siano i maggiori beneficiari di quei moti. In parallelo a loro si muovono i partiti salafiti, una galassia di sei gruppi che si è staccata dal cartello elettorale con i Fratelli ma che continua a replicare ogni loro mossa.
E' come se ci fosse uno scollamento tra la base, che reagisce ai soprusi dei generali, e i vertici, che seguono schemi opportunistici e hanno ormai una sola cosa in mente: il traguardo elettorale. E' questo malessere che ha portato alla rottura fra molti Fratelli più giovani e i quadri dirigenti, una delle tante fratture sofferte dall'organizzazione da quando è uscita dalla clandestinità e ha dovuto affrontare la luce del mondo reale nel dopo Mubarak. Resta da vedere se questo modo di procedere senza mai allarmare la maggioranza silenziosa sarà vincente ancora a lungo: per ora tutti i cambiamenti importanti al Cairo sono stati ottenuti dalla minoranza non inerte.
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