Incubo, cosa saremo nel 2013

Maurizio Crippa

Primavera del 2013. Ha smesso di diluviare. Ma il paesaggio è ancora fangoso, il cielo basso e grigio flanella. La Signorina Spread non è che se ne sia andata, e quando mai, ma se ne sta lì alla finestra, imbellettata e in attesa, come una bagascia nei carrugi. I mercati, anche i mercati non sono diventati colombe della pace, stanno lì sui rami alti, vecchi avvoltoi, pronti alla bisogna.

    Primavera del 2013. Ha smesso di diluviare. Ma il paesaggio è ancora fangoso, il cielo basso e grigio flanella. La Signorina Spread non è che se ne sia andata, e quando mai, ma se ne sta lì alla finestra, imbellettata e in attesa, come una bagascia nei carrugi. I mercati, anche i mercati non sono diventati colombe della pace, stanno lì sui rami alti, vecchi avvoltoi, pronti alla bisogna. Ma il clima, ah il clima. Si è rasserenato. Decantato. Come i liquidi in sospensione negli esperimenti di chimica. A furia di scomporre e ricomporre il quadro politico, l'unica attività cui i partiti tutti, sospesi nel vuoto di diciotto mesi di tecnocrazia, si sono nel frattempo dedicati.

    Primavera del 2013. Ci hanno tassati e ben spremuti, il debito un paio di punti più in ordine. Dal bunker dell'Eurotower, dove da mesi dirama i suoi dispacci il direttorio franco-tedesco, bombardato come il palazzo di Allende, è arrivata l'attesa autorizzazione. Si può andare a votare. Ma cosa è rimasto, dopo questo lungo tempo sospeso, della piccola grande rivoluzione che l'Italia aveva provato (suo malgrado) a fare, quella di diventare una democrazia normale? Di quelle che si vota quando un governo va in crisi, di quelle il popolo sovrano sceglie due schieramenti e due leader di governo e ci scommette su, scelte di vita ed economia. La democrazia dei partiti che fanno le primarie, che sono liquidi quanto basta, si finanziano alla luce del sole e non a quella dei bengala della Premiata Fabbrica Italiana Armamenti?

    Primavera del 2013. Ognuno in fondo sogna l'incubo che si sceglie. Solo che in questo catino rovesciato che è stato il rettorato di Mario Monti, con i due schieramenti unanimi a dire di sì a tutto quello cui avevano sempre detto di no, i propri incubi sono quelli degli altri ribaltati. Così il Fatto, non avendo più un premier eletto da arrestare, si era per tempo fissato che il vero incubo di Silvio Berlusconi caduto da cavallo fosse Corrado Passera: “Berlusconi, dunque, teme Passera più della peste”. E pour cause: “Con il ruolo di ministro dello Sviluppo economico con in mano le deleghe per la Comunicazione e una prossima asta delle frequenze tv che potrà decidere molto del prossimo panorama televisivo italiano”. “Passera è il nuovo che avanza, Silvio è ormai l'ancien régime”. La verità è che adesso, con le elezioni del 2013 alle porte, è la nuova sinistra a trazione tecnocratica a essere il peggiore incubo della sinistra manettara e ancien régime: “L'ex ad di Intesa, infatti, è l'uomo che le forze politiche di centrosinistra, dopo la ‘tregua' Monti, investiranno del compito di aprire le porte della Terza Repubblica. Come prossimo presidente del Consiglio dei ministri, ovviamente”. Del resto, i tecnocrati post blairiani hanno fatto il bello e il cattivo tempo in questi mesi, a sinistra. Hanno passato pizzini, si sono messi a disposizione.

    Passera, all'inizio, era stato anche l'incubo di Bobo Maroni: “Passera ha un futuro politico, non Monti – aveva detto l'ex capo del Viminale, casuale concittadino dell'italianissimo premier tecnico – Sarà sempre più popolare perché trascorrerà i mesi a tagliare nastri e inaugurare opere pubbliche, magari sfruttando anche quello che abbiamo lasciato in eredità noi”. Ma che gli frega, del resto, alla Lega? Da 18 mesi son tornati su nelle valli, la truppa si rifocilla dopo la lunga e infruttuosa campagna romana. Federalismo e voto, verrà il tempo per altre battaglie. Non per questa: “Avranno in mano anche lo strumento micidiale della legge elettorale, che potrebbe essere usata proprio per rendere insignificante il peso della Lega Nord”.

    L'Europa del 2013. Romano Prodi per tempo aveva bastonato il direttorio franco-tedesco. “Oggi la Germania si trova nella complicata situazione di dovere impedire a ogni costo il collasso dell'euro perché questo farebbe salire al cielo il cambio dell'ipotetico nuovo marco tedesco” aveva detto,  ma senza “essere in grado di fare fronte alle proprie responsabilità, elaborando una politica economica volta a ridurre gli squilibri anche da essa generati”. Così “il governo tedesco si è fino a ora riparato con la finzione di un irrealistico asse con la Francia”, ma “questi vertici arrivano sempre a soluzioni insufficienti e tardive”.
    Niall Ferguson aveva predetto da tempo che nel 2021 l'Europa come la conosciamo adesso non ci sarà più: “La grande crisi del 2010-2011, ha preso lo scalpo a non meno di dieci governi”. L'euro “è ancora in circolazione, anche se ormai si vedono ben poche banconote… Bruxelles non è più il quartier generale politico dell'Europa. La scelta di Vienna si è rivelata un grande successo”. Nel 2013 Sarkozy se n'è andato da tempo, Frau Merkel è alle prese con le elezioni. Troppo complesso anche per la fantapolitica. Ma dopo 18 mesi a decantare, che è rimasto dell'Italia maggioritaria e offesa? Le strade franano tutte verso valle, come in un maelström al rallentatore, una sabbia mobile che risucchia tutto al centro. O c'è altro?

    Scomporre e ricomporre. Il proprietario del copyright è Paolo Cirino Pomicino, e lo rivendica. Negli ultimi giorni della fine del berlusconismo era stato lui, l'antico ministro del Bilancio e della Programmazione economica dell'ultimo governo Andreotti, a tirare i fili, a scomporre (la maggioranza) e ricomporre il centro “tecnico” e magmatico che aveva votato la fiducia a Monti. Ora Pomicino è il temuto kingmaker della nuova fase. Sornione, sta bene attento “a non far diventare il proprio desiderio padrone della realtà”, ma si è dato un compito preciso: “Ri-europeizzare – scusa il neologismo orrendo – il sistema politico italiano”. Ma come, gli si chiede, buttando il maggioritario, tornando a un'Italia governata dal centro, dal grande centro proporzionale e sentina di molti (non tutti) i mali della Prima Repubblica? Sbagliato, spiega lui: “Tutti i sistemi politici hanno un'alternanza. Ma non è il sistema maggioritario a garantirlo. Se nella Prima Repubblica non ci fu l'alternanza, era perché il Pci era il Pci, non per altro”. Dunque, dopo la necessaria decantazione del governo Monti, che è servita “a chiudere con la stagione dei leaderismi”, ora “possono riemergere le culture politiche di riferimento italiane, che poi sono le stesse dell'Europa. Come la Gallia di Cesare che è “omnis divisa in partes tres”, ci sono i socialisti, ma versione socialdemocrazia, i cattolici, versione moderati di centro, e i liberali. Ci sono pure gli ecologisti, dice, ma un po' meno. Per far sì che lo schema regga, in verità servirebbe che da qualche parte ci fosse ancora il Muro di Berlino. Così traballa un po'.

    Ma pazienza. Il vero problema per Pomicino è che “la Seconda Repubblica credeva di avere inventato il bipolarismo, e invece aveva creato solo la follia del maggioritario, che all'Italia non s'addice: un sistema per cui abbiamo sempre avuto governi maggioritari in Parlamento, ma minoritari nel paese, grazie al premio di maggioranza. Non è più possibile”. Ora, nel 2013, “non c'è dubbio” che il sistema è cambiato, la nuova legge elettorale ha buttato il maggioritario sporco ma non il bambino dell'alternanza, spiega Pomicino. “Guardi, è semplice: se c'è un sistema parlamentare, i governi si fanno e si disfano in Parlamento. Se invece si vuole un sistema basato sul maggioritario, la riforma da fare è il presidenzialismo, non il premio di maggioranza”. Per Pomicino nell'aria del 2013 c'è qualcosa di nuovo, anzi d'antico. Il “bipolarismo europeo” vede “inevitabile la scomposizione del Pdl”, con una morbida deriva verso quel centro che nessuno, neanche il sociologo Giuseppe De Rita (“il ‘nuovo partito cattolico' è cosa da evitare quasi quanto il ‘partito neoguelfo'”), vuol chiamare democristiano. Ma tant'è.

    “Anzi – dice Pomicino – se il Terzo Polo dovesse vincere le elezioni, farebbe ugualmente un'alleanza con altre forze politiche, esattamente come aveva fatto a suo tempo la Dc, perché è nella sua natura profonda includere”. Su quale poi sia la forma della nuova Dc, Pomicino lascia laicamente libertà di coscienza: “Ma che vuol dire la sezione italiana del Partito popolare europeo? Non sono le formule, Formigoni e Alfano…”.  E a sinistra? A sinistra vede “un'offerta socialista di massa”. Sapore antico. “Non si può fare un trapianto di cose estraneo alla tradizione. Pure il Pd è stato contagiato dal leaderismo”.

    La primavera del 2013 per il Pd è qualcosa di più di un appuntamento rimandato di mesi. E' l'eterno sentiero della sinistra che si biforca. Uno più a sinistra, uno più al centro. “L'operazione Monti contiene più di una insidia. Le larghe intese in appoggio al governo dei professori potrebbero provocare smottamenti nei due poli attorno a Pd e Pdl, coagulando i riformisti di entrambe le parti sotto l'unica bandiera della tecnocrazia centrista, moderata e filo europea”, ha scritto il Sussidiario filociellino. Che da quelle parti la si consideri “una insidia”, non si può giurare. Ma che il rischio sia maggiore a sinistra, è un dato di fatto.

    Così nel 2013 ci sono due partiti. Da una parte c'è il Pd bipolarista e maggioritario, quello guidato da Passera, secondo l'incubo del Fatto ma non solo suo. E' il Pd che ha attraversato il deserto dei 18 mesi con fiducia e addirittura con orgoglio, sicuro del trionfo finale, come Stefano Ceccanti, che nei giorni del varo del governo Monti se ne andava distribuendo poesie di Wislawa Szymborska: “Dopo ogni guerra / c'è chi deve ripulire. / In fondo un po' d'ordine da solo non si fa”. Ora si sente meglio: “Berlusconi contro il partito di Vasto, questa sarebbe stata la vera distruzione dell'Italia e del maggioritario. Sostenendo Monti noi abbiamo salvato il bipolarismo”. Ma se tutti temono la corsa al centro? “Ma ci pensi: Pd e Pdl, perché mai dovrebbero regalare al Terzo Polo una legge sfascia-maggioritario? No, nel 2013 si affrontano due grandi poli finalmente europei”.

    L'altro partito della sinistra è quello che, nell'incubo capovolto di Ceccanti, è guidato da Vendola o Di Pietro. Circostanza seccamente negata dagli interessati, che alla data del 2013 non sono però i quattro gatti residuali che i facitori del partito liquido si immaginavano. Stefano Fassina, dirigente laburista del Pd, nei lunghi mesi è stato un po' meno festante di Ceccanti. Era partito subito lancia in resta, denunciando “il peso della tecnocrazia”  e che “fare riforma col Pdl non è la nostra identità”. Ora dice che ce l'hanno fatta, benché il sentiero fosse strettissimo: “Un conto è fare compromessi, per una situazione particolare; un conto invece è assoggettarsi a un pensiero unico bilaterale. C'è chi nel Pd crede che fare politiche di sinistra significhi fare le stesse cose che farebbe la destra, solo che la destra non è stata capace  di farle”. Per Fassina è questa la vera eredità da salvare del bipolarismo: “C'è un pensiero economico di destra, e uno di sinistra. Diversamente è pensiero unico. Un governo di compromesso può salvare il bipolarismo solo se non si assoggetta al pensiero unico”.

    Ma le sinistre, par di capire, restano due. E il bipolarismo maggioritario, nella visione del giovane bersaniano labour, non è forse il miglior sistema per dar conto della realtà. Un economista di sinistra come Massimo D'Antoni già nei primi giorni del governo Monti aveva esposto il suo ragionamento sull'Unità: c'è un rapporto tra il sistema di voto e il tipo di sistema capitalistico, ha scritto. “Nei paesi anglosassoni, il capitalismo liberale, con poche tutele sociali, è funzionale al maggioritario competitivo. Nei paesi europei, che hanno puntato sulla cosiddetta economia sociale di mercato, funziona assai meglio il proporzionale”. E' la sinistra, insomma, che deve scegliere cosa vuol fare da grande.
    Ed ecco che nel ragionamento di D'Antoni rifà capolino l'incubo degli altri, in questo caso gli eredi del berlusconismo maggioritario e (ir)realizzato: lo smottamento al centro, la fine della leadership, gli intrugli del parlamentarismo. Come si va a votare, nella primavera del 2013, significa anche che modello di sviluppo economico e di alleanza politica si ha in mente. Servirebbe un chiarimento dall'alto. Come la voce di Pio IX: “Cari fratelli nella fede, vorrei intervenire per difendere i due miei più diretti discepoli odierni, Stefano Fassina e Matteo Orfini, pupille dei miei occhi, erroneamente accusati di essere socialisti o comunisti, quando è evidente la loro sana e benedetta matrice antimoderna. La loro predicazione, anche con ampie citazioni del Magistero della chiesa, si costituisce intorno a tutto quanto ha origine dalla modernità, a cominciare dalla terribile peste del liberalismo a cui si connette il liberismo”.

    La citazione è uno sfottò ai laburisti di sinistra, su un sito web ceccantiano, quando ancora la decantazione della sobrietà montiana non aveva messo fuori corso le polemiche spicciole, tanto più sferrate con strumenti incontrollabili. Ma in realtà, per le regola degli gli incubi capovolti, è qualcosa che pertiene al nuovo scenario, parecchio lunare, del centrodestra.
    Berlusconi, sulle prime, aveva rilanciato sui mantra dell'ultimo periodo al governo: il futuro del Pdl si chiama Alfano, primarie, congresso. E nel 2013, quando si voterà, io non ci sarò. Ma poi era apparso subito evidente che i destini di Angelino Alfano – con o senza Formigoni, con o senza Casini – erano legati ai destini di quella che era stata una costola importante del centrodestra della Seconda Repubblica: la chiesa cattolica, intesa (anche) come sezione italiana del Ppe, o proiezione europea della Dc. Nella primavera del 2013 il cardinal Bagnasco è sempre lì. E si capirà anche quali effetti avrà prodotto la sua azione di indirizzo dei cattolici nella politica italiana. Può essere che la Cei, a quella data, si riunirà direttamente a Todi, come il Papa di Guido Morselli che si era trasferito a Zagarolo. Quel che è certo che il passo era stato compiuto per tempo. Lorenzo Ornaghi, il rettore dell'Università Cattolica, al momento di entrare nell'esecutivo dei professori, l'aveva detto chiaro: “Questo governo segna il risveglio dei cattolici in politica: non è più il momento delle deleghe, non ne diamo più a nessuno”. Fu l'inizio della tracimazione dai bastioni del ruinismo, giù verso il centro. Qualche cattolico era rimasto appollaiato a difesa intransigente dei sempre più risicati valori non negoziabili,  ma per il resto si diceva soddisfatti che, nello spirito di Todi, era “finito il tempo dei cattolici che si occupano solo dei temi bioetica”. Nella primavera del 2013, con regolare autorizzazione europea, sapremo chi ha vinto le elezioni che non furono fatte sotto la neve.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"