Il ritorno della politica, ovvero la bocciofila al tempo del governo tecnico

Maurizio Crippa

La democrazia è sospesa, viva la politica. Un governo non eletto, in contumacia di programma, il bipolarismo trasformato in maggioranza tripartita, ma irresponsabile. Eppure, nel nuovo clima di posticcia concordia nazionale, dopo anni gettati a litigare di moralità private e di cricche, ora improvvisamente redente, ritorna la politica. Nella forma del dialogo sui minimi sistemi: ruolo dei partiti, scomposizione e ricomposizione, la sovranità al tempo della guerra finanziaria. Ovviamente in purissimi, godibilissimi pourparler di nessuna validità effettuale.

    La democrazia è sospesa, viva la politica. Un governo non eletto, in contumacia di programma, il bipolarismo trasformato in maggioranza tripartita, ma irresponsabile. Eppure, nel nuovo clima di posticcia concordia nazionale, dopo anni gettati a litigare di moralità private e di cricche, ora improvvisamente redente, ritorna la politica. Nella forma del dialogo sui minimi sistemi: ruolo dei partiti, scomposizione e ricomposizione, la sovranità al tempo della guerra finanziaria. Ovviamente in purissimi, godibilissimi pourparler di nessuna validità effettuale. Ma che fungono da trompe-l'oeil di un paese vivo, di un popolo vigile e appassionato. Un innegabile paradosso, forse persino un frutto virtuoso di quella decantazione da tanti invocata, che potrebbe suonare a smentita di quanto sostenuto, con la forza del disincanto, su queste pagine a proposito della democrazia sospesa. L'Italia è un paese politico.
    Ma nel suo aspetto patetico, l'attuale ritorno della politica – tutto un fiorire di convegni, aggregazioni, lettere ai giornali, spampanati tentativi costituenti – mi ricorda un quadretto personale e quasi bucolico.

    Anni fa, nel Parco di Monza,
    degli arzilli pensionati pensarono bene di giocare a bocce. Un luogo deputato non c'era, ma la passione iniziò a radunarli in un certo prato d'angolo, tra sentieri e boschetti, pian piano spianato alla bisogna. Il luogo in breve fu noto a tutti i pensionati in transito, bicicletta e sacchetto del pane sul manubrio. E attorno alle bocce la chiacchiera aggregò la politica. Molta politica. Appassionata, vivace, a tratti persino competente. Attorno ai tecnici deputati (ma non eletti) al gioco delle bocce il foro si fece ampio, variegato, ordinato (le biciclette a raggiera, gruppi e fazioni ben distinti). Il posto, in breve, divenne noto nel circondario come Montecitorio. Le autorità cedettero a quello Zuccotti Park fuori tempo. Il luogo, ai conoscitori del Parco, è noto come Montecitorio ancora oggi.

    Il problema è che gli italiani amano la politica soprattutto quando sono nella condizione tecnica di pensionati, cioè di impossibilitati all'azione. Poi c'è sempre uno più tecnico, che s'incarica di misurare il punto, uno che si piazza al pallottoliere. Chi porta il vino e chi scrocca un bicchiere. Il Parlamento oggi è ridotto a una bocciofila di irriducibili pensionati che discutono del punto, con beneficio d'inventario, fino all'ora di tornare a casa, quando calano le ombre e quelli che contano davvero sgusciano lesti, come le maschere ai tempi della Serenissima, per entrare dal retro in segreti conciliaboli dove si decidono le sorti della Repubblica. Il fenomeno è tipico dei momenti di restaurazione. Dopo il Congresso di Vienna era tutto un fiorire di cricche che discutevano di riforme e rivoluzioni. Tollerati, o meno, dalla Trilateral dell'epoca. O meglio, l'attuale clima cattolicheggiante, controriformista e barocco, evoca fondali secenteschi. I convegni e le fondazioni si moltiplicano come le accademie di letterati e indagatori della luna, che criptavano il loro inconcludente pensiero, persino il loro timido dissenso, in astruse metafore. Per poi congiurare di notte pro o contro con l'autocrate di turno.

    Non è che succeda per un oscuro accidente, come la peste di don Ferrante. C'entra qualcosa invece la forma della politica. Mentre il referendum elettorale giace, mentre l'elettore si chiede perché mai ha votato, e se davvero lo ha fatto, solo tre anni fa, mentre i cruscanti da quattro soldi e i baby pensionati della legislatura discettano, tutto è già accaduto. Siamo già tornati di fatto al proporzionale, cioè al metodo della politica come universale sovranità della discussione e svuotamento della decisione. La rimozione, se mai ci sia stato, del principio divisivo del potere, io ce l'ho e decido, dentro un sistema semplice e preciso che consenta le scelte. La forma della politica come non conflitto, come scontro e responsabilità, ha già lasciato il posto alla chiacchiera. Ovvero alla forma stabile della nostra cultura politica, cresciuta nella responsabilità limitata e nel sottobosco della coesistenza pacifica, mentre il sistema decisionale sta altrove. Quello che chiamano nuovo fairplay, regole condivise, è solo il trionfo della sciatteria, la logica dell'accomodamento non responsabile. La maschera pietosa dell'inutilità.  Non c'è nulla da decidere, quindi si può discuterne. E quando per sbaglio ci si riscalda troppo, quando la politica profila il litigio, c'è sempre uno che boccia via il pallino. Scoppia l'applauso, c'è un altro giro di rosso. Poi a tutti a casa, Fiorello e minestrina.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"