Diario di due economisti
Le mosse in Europa di Monti conterranno molto di più di quello che riuscirà a fare in Italia
Una buona pratica per cercare di orientarsi, soprattutto nelle situazioni confuse, è quella di attenersi ai fatti, anche se siamo consapevoli che nel guardare ai fatti c'è molto di soggettivo. Partiamo, quindi, dai fatti come noi li abbiamo percepiti. Prima delle dimissioni del governo Berlusconi la Borsa andava male, peraltro in linea con quella degli altri paesi europei, e il divario tra le remunerazioni richieste per l'acquisto dei titoli del debito pubblico italiano e quelle per i corrispondenti titoli del debito tedesco viaggiava, nonostante gli interventi della Banca centrale europea, su livelli pericolosi.
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Una buona pratica per cercare di orientarsi, soprattutto nelle situazioni confuse, è quella di attenersi ai fatti, anche se siamo consapevoli che nel guardare ai fatti c'è molto di soggettivo. Partiamo, quindi, dai fatti come noi li abbiamo percepiti. Prima delle dimissioni del governo Berlusconi la Borsa andava male, peraltro in linea con quella degli altri paesi europei, e il divario tra le remunerazioni richieste per l'acquisto dei titoli del debito pubblico italiano e quelle per i corrispondenti titoli del debito tedesco viaggiava, nonostante gli interventi della Banca centrale europea, su livelli pericolosi. Arrivato al governo Mario Monti, la Borsa continua a comportarsi allo stesso modo, con la consueta volatilità quotidiana ma con trend negativo. Gli spread dei titoli italiani rimangono più o meno dove sono, ma iniziano a convergere verso l'alto gli spread spagnoli, poi quelli francesi e di altri paesi. La Francia, come rischio percepito sui propri titoli, si trova più o meno come l'Italia sei mesi fa. Infine, i tanto appetiti titoli pubblici tedeschi rimangono invenduti per quasi la metà nell'ultima asta e devono essere acquistati dalla Bundesbank. Ciò dimostra una cosa abbastanza ovvia, che la crisi dei debiti sovrani europei e la conseguente corsa verso il fallimento del sistema bancario europeo non nascono in Italia, e le difficoltà di collocamento dei titoli pubblici italiani hanno poco a che fare con Berlusconi.
I motivi della crisi e dello scivolamento verso una nuova recessione li abbiamo a lungo analizzati in questo diario, peraltro in buona ed estesa compagnia. Tuttavia, vi è un ulteriore fatto che rende sterile la discussione sui complotti mediatici, orditi dalle varie “spectre” mondiali o domestiche. Ciò che è cambiato è che l'attuale presidente del Consiglio italiano siede al tavolo europeo e discute sui veri motivi della crisi e discute a nome del terzo paese dell'Eurozona sulle riforme europee, non su quelle italiane, che sono necessarie per impedire la dissoluzione dell'euro e il fallimento dell'Europa stessa. Si tratta di un fatto, e di un fatto politico, che piaccia o no. E non pensiamo che ciò dipenda dalla sua maggiore competenza tecnica, ma dalla capacità di svolgere un ruolo politico, precluso al precedente governo. Un ulteriore possibile fatto è che in poco tempo l'attuale governo riesca ad attuare gran parte del programma del governo Berlusconi, seppur con integrazioni e aggiustamenti, senza incontrare guerre di religione su questioni non centrali per la nostra civiltà come la reintroduzione dell'Ici o il superamento dell'art.18. A quel che sembra esso si propone di attuare provvedimenti già presi e inclusi nella legge di stabilità, di finalizzare rapidamente la riforma fiscale riducendo la pressione sui redditi e spostandola sui consumi, progetto che fino a oggi qualsiasi corporazione di passaggio è stata in grado di bloccare, di completare la riforma fiscale già parzialmente fatta, di dismettere il patrimonio pubblico, anch'esso obiettivo sempre evocato ma di cui non si capivano tempi e modi di attuazione. L'attuazione di questo programma interessa molto l'Italia, ma dobbiamo iniziarla a considerare come normale amministrazione. Almeno lo speriamo.
Ciò che non è di routine è ciò che viene discusso in Europa sul come modificare la “governance” economica europea e come salvare l'euro. Da questo dipende il futuro dell'Italia ed è per questo che abbiamo sottolineato il fatto nuovo della rinnovata partecipazione dell'Italia al negoziato, non colto a pieno dalla sterile polemica sulla sciocca idea che potessero crollare gli spread sostituendo il presidente del Consiglio. Se gli eletti avessero la forza di considerare routine le riforme interne e si interessassero di più a ciò che accade in Europa la democrazia ne trarrebbe vantaggio. L'Italia non detta legge in Europa, ma conta, soprattutto se si pone in relazione con i paesi non rappresentati dal direttorio franco-tedesco, anch'esso in crisi. E' necessario convincere la Germania. Ma a fare cosa? Noi siamo convinti, come molti altri, che non si esce dalla crisi senza attribuire alla Bce un ruolo di prestatore di ultima istanza, che non significa toglierle indipendenza, ma estendere il suo mandato. Siamo anche convinti che questo sia possibile solo modificando i trattati europei per immaginare un'autorità fiscale europea. Dalle dichiarazioni di Monti sembra di capire che egli non sia favorevole a cambiare il mandato della Bce ma piuttosto all'introduzione degli Eurobond. Le questioni sono tecniche, ma il futuro anche degli italiani dipende più da queste scelte che dall'Ici.
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