Disciplina e dissimulazione

Quant'è laica e moderna la Fratellanza il giorno delle elezioni in Egitto

Daniele Raineri

Gli sceicchi sono piazzati sui marciapiedi dirimpetto all'ingresso dei seggi, per convincere gli indecisi con la loro presenza carismatica e per soffiare un refolo di senso di colpa decisivo dentro chi pensasse, con la matita in mano e all'ultimo minuto, di votare un partito del blocco laico. Fuori sono fasci di volantini gettati nei finestrini delle auto, santini patinati piantati in mano, nuovi striscioni e pasti distribuiti con generosità in cambio della promessa di voto.

    Il Cairo, dal nostro inviato. Gli sceicchi sono piazzati sui marciapiedi dirimpetto all'ingresso dei seggi, per convincere gli indecisi con la loro presenza carismatica e per soffiare un refolo di senso di colpa decisivo dentro chi pensasse, con la matita in mano e all'ultimo minuto, di votare un partito del blocco laico. Fuori sono fasci di volantini gettati nei finestrini delle auto, santini patinati piantati in mano, nuovi striscioni e pasti distribuiti con generosità in cambio della promessa di voto. Mai, da quando la campagna elettorale si è chiusa ufficialmente – rendendo qualsiasi attività politica fuorilegge – la propaganda ha raggiunto questa intensità al Cairo. L'affluenza è alta: davanti al seggio di Shubra, quartiere popolare misto, mezzo copto mezzo islamico, ci sono almeno 400 elettori in una coda che continua dietro l'angolo. Sull'isola dei ricchi di Zamalek le donne attendono con i tacchi alti, i camerieri di un caffè percorrono la fila prendendo ordinazioni. A Moqattam, che è nella cinta della metropoli resa fangosa dalla pioggia, va peggio, anche se lì i seggi sono due e separati, uno per gli uomini e un altro per le donne. “Servono almeno cinque ore per votare”, dicono al Foglio. Tanto da convincere la commissione elettorale a spostare la chiusura dalle sette alle nove di sera, come se non fosse bastato, venerdì, aver allungato di un giorno le operazioni di voto. Si tratta di una decisione obbligata, considerando che i militari hanno imposto una legge elettorale cervellotica e ieri in alcuni seggi le schede avevano 122 candidati tra cui scegliere i due nomi o perdersi.

    La sensazione al Cairo è che i Fratelli musulmani con il partito della Giustizia e libertà – lo stesso nome del partito al governo nella Turchia dell'ammirato primo ministro Erdogan – e i sei partiti salafiti guidati da Hizb an Nour – il partito della Luce – abbiano investito il massimo dei loro sforzi e delle loro risorse per stravincere a questa tornata.

    Secondo indiscrezioni che già circolano
    sui dati del voto degli egiziani residenti all'estero, e che servono da prime indicazioni, la Fratellanza è in vantaggio. I residenti in Arabia Saudita avrebbero votato il Partito giustizia e libertà al 75 per cento.

    E venerdì scorso all'elezione interna nel sindacato degli ingegneri, abbastanza rappresentativa con i suoi 400 mila membri, l'organizzazione ha di nuovo prevalso. Per il voto che conta, quello nazionale, è lo stesso. I Fratelli sono ubiqui e occhiuti laddove i partiti liberali non hanno abbastanza uomini per sorvegliare tutti i seggi. Fuori dalla scuola di Moqattam, a un paio di passi dal solito sceicco di guardia, c'è, con giaccone, occhiali, voce bassa e timida, un osservatore di al Kutla al Misriya, il Blocco egiziano laico guidato dal magnate Naguib Sawiris. Accanto ecco l'agente di zona dei Fratelli musulmani: spilletta brillante con le due sciabole incrociate in campo verde, camicia fresca, in completo elegante come se stesse per sposarsi, in mezzo a un gruppo di elettori appena usciti dal seggio. La capacità dei Fratelli musulmani di sferrare il loro colpo migliore a queste elezioni non sta soltanto in questa rete di agenti che fa assistenza ai poveri, incoraggia, spaventa, tiene fisicamente il territorio. E' anche, in generale, nella duttilità politica dimostrata. In questa campagna il partito ha aderito con disciplina a un programma moderno – o alla sua dissimulazione – e senza sbandamenti contro cui i critici avrebbero potuto aprire il fuoco. Venerdì c'è stata una manifestazione violentemente antisemita da cui però la Fratellanza s'è dissociata più tardi. Ripetono che non ci saranno discriminazioni religiose o di sesso, che non ci saranno restrizioni sull'apertura di chiese –  al momento è necessaria un'autorizzazione del presidente – che non modificheranno gli accordi di Camp David sulla pace con Israele. Ma fuori dai seggi s'incontrano anche i loro critici, che raccontano il loro voto contrario con parole identiche: “Questo è l'Egitto, non vogliamo che diventi un secondo Iran”.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)