A che punto è lo strike sull'Iran
Quando e se il programma nucleare dell'Iran sarà attaccato, non si tratterà di un bombardamento aereo convenzionale. Non sarà una copia delle operazioni fulminee che hanno avuto successo in passato, come il raid sul reattore nucleare di Saddam Hussein a sud-est di Baghdad nel 1981 o contro la base dell'Olp a Tunisi nel 1985.
Quando e se il programma nucleare dell'Iran sarà attaccato, non si tratterà di un bombardamento aereo convenzionale. Non sarà una copia delle operazioni fulminee che hanno avuto successo in passato, come il raid sul reattore nucleare di Saddam Hussein a sud-est di Baghdad nel 1981 o contro la base dell'Olp a Tunisi nel 1985. In entrambi i casi si trattò di bersagli facili: singoli, esposti all'aperto, con difese deboli e colte di sorpresa. Oggi in Iran la situazione è completamente differente, ci sono almeno 15 siti atomici, forse di più, nascosti tra le montagne e nel sottosuolo e protetti da un apparato militare che è determinato a mantenersi aggiornato e guardingo. Per questo, secondo Eli Lake, reporter al Pentagono per Newsweek e il sito Daily Beast specializzato in rapporti con il Pentagono e solitamente ben informato, l'operazione israeliana contro l'Iran sarà differente dal passato, un genere di attacco militare completamente nuovo.
Da tempo Israele sviluppa in silenzio misure in grado di confondere, ingannare e incapacitare un sistema di difesa nemico. Per questo l'incursione aerea sarebbe un lavoro misto per una squadra mista: droni Heron capaci di portare non soltanto bombe ma anche un carico tecnologico semisegreto, aerei con piloti umani costruiti per gli attacchi elettronici – appartenenti a un'unità che ha per soprannome “I Corvi” – e infine i convenzionali caccia da combattimento F-15 e F-16.
Gli israeliani possono ingannare i radar del sistema di difesa aereo dell'Iran facendo credere loro che non c'è nessun aereo in volo, oppure che ce ne sono centinaia, con un effetto “nevicata” sugli schermi. Allo stesso tempo un attacco elettronico può colpire e disabilitare i telefoni cellulari, le linee telefoniche convenzionali, la rete internet, la griglia elettrica nazionale e anche le frequenze radio, comprese quelle d'emergenza usate da militari, polizia e vigili del fuoco.
I siriani hanno già assaggiato questo tipo di attacco nel settembre 2007, durante l'incursione contro il sito nucleare sospetto di al Khibar. Gli aerei israeliani hanno proiettato sugli schermi dei radar nemici la falsa immagine elettronica di un cielo sgombro e privo di qualsiasi minaccia, e poco dopo, e di colpo, hanno proiettato l'immagine, altrettanto falsa, della presenza di centinaia di aerei. Quel giorno i radar furono illeggibili – e inservibili. Israele ha sviluppato anche un sistema offensivo capace di imitare il segnale che ordina alle singole celle della rete telefonica di entrare in standby per manutenzione. Il risultato è il blocco temporaneo delle comunicazioni. E possiede anche sistemi che creano interferenze e disturbi per le frequenze radio.
E' verosimile che gli israeliani sfrutterebbero un punto debole scoperto dagli Stati Uniti due anni fa nelle grandi reti elettriche delle città iraniane, che non sono isolate da Internet e quindi sono vulnerabili a virus informatici devastanti come Stuxnet, che è riuscito a prendere il controllo e a distruggere le centrifughe iraniane – dicono gli ufficiali americani. La scoperta è stata fatta nel 2009 dal Joint Warfare Analysis Center, un laboratorio segreto militare americano – dice una fonte a Lake. La fonte conferma che gli israeliani possiedono la capacità di bloccare gli snodi internet che servono i comandi militari iraniani.
Il vecchio modello di incursione aerea, invadere lo spazio aereo nemico, trovare l'obiettivo, colpire e fuggire, a paragone del nuovo sembra ormai primitivo. Ora sono richieste più fasi in rapida successione: accecare il nemico, confonderlo, paralizzare le sue comunicazioni, bombardare e allo stesso tempo distruggere la sua capacità di rappresaglia, o almeno diminuirla significativamente. I bombardamenti investirebbero anche le rampe dei missili balistici già puntati su Israele per rispondere all'attacco – non c'è la possibilità di eliminarli tutti, ma perché non provare? E quindi volare via.
Uno dei problemi più grandi è che il programma nucleare è sparpagliato in posti diversi e dentro labirinti di tunnel – è una definizione degli analisti – che rende difficili trovare i singoli siti e ancora più distruggerli. Il presidente iraniano in persona, Mahmoud Ahmadinejad, ha sviluppato una passione personale per i tunnel ed è membro fondatore dell'associazione iraniana per i Tunnel. Molte delle installazioni nel sottosuolo risalgono alla cosiddetta Guerra delle città nel 1987, quando Iran e Iraq si scambiavano bombardamenti con missili Scud sulle grandi città. Altre si sono aggiunte negli anni, soprattutto con l'intensificarsi delle voci su un possibile strike israeliano: ci sono centinaia di chilometri di cavità in cemento, create da gigantesche macchine sterratrici, che ora forniscono segretezza e protezione. In certi casi i punti d'ingresso sono conosciuti, ma gli strati di roccia sopra e l'estensione garantiscono un buon livello di protezione.
Gli americani stanno già lavorando a questa parte dell'operazione, la radiografia dei sotterranei, pur senza potere, ovviamente, schierare squadre a terra, e lo stanno facendo grazie a nuove tecnologie. La divisione scientifica del Pentagono che si occupa dei progetti più avanzati, la Darpa, ha un intero settore dedicato a questa mappatura da lontano: in pratica, si tratta di vedere attraverso la roccia. Il sito della Darpa annuncia tra i suoi bandi tecnici che c'è bisogno di sensori che scoprano installazioni nascoste e sappiano valutare le attività che vi si compiono, prima e anche dopo un eventuale attacco.
Una risposta è l'“Airborne Tomography using Active Electromagnetics”, una tecnologia sviluppata dall'industria mineraria: il terreno è illuminato con onde elettromagnetiche a frequenza molto bassa e il riflesso svela la presenza di cavità e tunnel. Alcuni scienziati in Alaska sono riusciti a disegnare la mappa di tunnel a trenta metri di pronfondità e anche di più. Secondo il capo del progetto, la gittata dei sensori in futuro potrà agire a mille chilometri di distanza: “Dovranno essere posizionati su una nave, o su una piattaforma petrolifera, chissà”. Il Darpa è anche convinto che sia possibile identificare il tipo di attività che si compie sotto la roccia, come il traffico di veicoli e la presenza di materiali radioattivi. Forse è già all'opera. L'Iran si è già lamentato in passato per l'intrusione di droni americani nel proprio spazio aereo e alcuni osservatori sospettano che Washington stia usando il drone invisibile, l'RQ-170, la supersegreta “Bestia di Kandahar”, come è stata soprannominata dagli analisti civili che l'hanno intravista in Afghanistan (che confina con l'Iran).
La mappatura delle installazioni sotterranee non risolve il problema principale: possono essere distrutte? Gli Stati Uniti stanno investendo montagne di dollari nello sviluppo di una bomba di profondità capace di penetrare 30 metri di roccia o 60 di cemento prima di esplodere con una tonnellata di esplosivo, la cui sigla tecnica MOAB è stata subito trasformata in “Madre di tutte le bombe”. Ma gli Stati Uniti stanno studiando opzioni meno primitive. Una è una tecnica di volo che fa arrivare con precisione le bombe anti bunker in orizzontale contro l'ingresso del bunker. Il sito potrebbe resistere, ma se le entrate sono distrutte, nulla può più uscire o entrare. Un'altra opzione sono le bombe termobariche, che provocano un'onda d'urto che viaggia all'interno dei tunnel e prosegue oltre gli angoli senza perdere efficacia come succede nelle esplosioni normali. L'impatto si propaga per trecento metri. O ancora: spezzoni incendiari come palloni elastici che rimbalzano velocissimi e possono raggiungere gli angoli più remoti delle basi sotterranee, arroventando l'aria fino a mille gradi in pochi secondi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano