Invecchiare in lacrime

Annalena Benini

Vietato leggere le tabelle dei quotidiani, con la data di nascita e la data di pensionamento. Quelli che l'hanno fatto sono tutti morti (“Vado in pensione a 106 anni”), e muoiono ogni giorno di morte diversa perché le date cambiano, soprattutto nello stesso giornale. Le lacrime di Elsa Fornero si sono diffuse velocissime, quasi quanto l'innalzamento dell'età pensionabile che, dice Chiara Saraceno al Foglio, “è stato troppo accelerato: l'impianto della riforma Berlusconi era lento, questo è stato fulmineo”.

    Vietato leggere le tabelle dei quotidiani, con la data di nascita e la data di pensionamento. Quelli che l'hanno fatto sono tutti morti (“Vado in pensione a 106 anni”), e muoiono ogni giorno di morte diversa perché le date cambiano, soprattutto nello stesso giornale. Le lacrime di Elsa Fornero si sono diffuse velocissime, quasi quanto l'innalzamento dell'età pensionabile che, dice Chiara Saraceno al Foglio, “è stato troppo accelerato: l'impianto della riforma Berlusconi era lento, questo è stato fulmineo”. Veloce non significa rock, non nell'accezione di Adriano Celentano almeno. Ci si è ritrovati, in una notte, a prevedere sei o sette anni secchi di lavoro in più, a immaginare uno scenario completamente diverso della vita quotidiana, un riassetto profondo delle giornate e dei progetti: persone con figli, nipoti, genitori, malattie, persone attorno alle quali gira un piccolo mondo di servizi; aziende in crisi che contavano sul pensionamento per non licenziare altri dipendenti; giovani, pronti a prendere il posto degli anziani, che dovranno aspettare ancora, e soprattutto donne: donne travolte dal non insolito destino di trasparenza, che significa di riconoscimento implicito e cieco di una superiorità grandiosa che permetterà loro, come sempre, di fare tutto. Non andare in pensione, lavorare, prendersi cura, triplicarsi, invecchiare, fare carriera, rinunciarci, tenere le fila ma con delicatezza, sostituire il welfare, contribuire, alleviare, competere ma non troppo, spesso permettere agli uomini di trovare il loro posto del mondo. Certo però che la parificazione dell'età pensionabile di uomini e donne (succederà nel 2018) potrebbe essere perfino un'opportunità, la possibilità di non chiudersi in casa con le pantofoline ricamate a guardare la tivù del pomeriggio, la bellezza di contare ancora qualcosa, più a lungo. “In linea di principio sono d'accordo con l'equiparazione della pensione fra uomini e donne, ma non posso accettare che contestualmente non si faccia un intervento deciso sul lavoro di cura, una redistribuzione del welfare e dei servizi.

    La parola servizi questo governo non l'ha ancora pronunciata, e mi turba”. Servizi? Cura? Sarebbero quelle cose come le camicie stirate, gli anziani accompagnati, i bambini fatti e poi tenuti al caldo e all'amore, sarebbe quel “fare la calza” che ancora scappa agli uomini quando si parla di cura, sarebbe una canzone di Battiato. “La cura non si vede, si vede solo quando manca”, dice Chiara Saraceno. Provate a immaginare, adesso, nel vostro ufficio, a casa vostra, nella scuola dei vostri figli, che le donne dicano: ciao, basta, non ci penso più (è solo un esempio, non significa che la cura non sia un immenso piacere, oltre che una grande fatica). Come in un acquario, quando si spegne il filtro della pulizia dell'acqua: pochi giorni, e il barbonaggio ha già vinto. Mutande sporche, bambini affamati, genitori con Alzheimer che vagano per la città, pioggia che entra dalla finestra e allaga la casa, frigo vuoto, calze spaiate e infelicità diffusa, emergenze continue e il gatto affranto che si getta dal balcone. E' uno scherzo, ma non tanto.

    E' un mondo invisibile, quello di tutte le cose e le persone e la vita che stringiamo fra le dita e sempre più faticosamente accarezziamo: generazioni-sandwich, amorevolmente schiacciate tra i figli da aiutare, i nipotini da badare, i genitori da curare, donne che non hanno più il tempo che hanno avuto le loro madri, e hanno fatto i tripli salti mortali in giovinezza per avere figli e contare nel mondo, e “io sono già stanca adesso”, dice Marina Terragni, scrittrice, giornalista, blogger. “Stanca e arrabbiata. Ci stanno rubando i soldi: i soldi dalla tasca di ogni donna. Pagheremo maggiori contributi e avremo minori pensioni, mentre rappresentiamo l'unico welfare esistente. Anche questa manovra ci ha trattato come materia prima muta, sempre a disposizione della vita pubblica e delle necessità degli uomini. Chi si prende cura di me, mentre io mi prendo cura di tutti, anche delle casse dello Stato?”. Secondo Marina Terragni, “il ministro Fornero aveva ragione a piangere, sul suo viso ha fatto irruzione qualcosa che non riusciva a sopportare: questo innalzamento dell'età pensionabile, senza alcun riconoscimento del lavoro non contrattualizzato che facciamo, con gioia, con amore, con somma bravura, significa scaricare tutto quello che non va sulle donne, siano esse madri, nonne o figlie. C'è una fiducia cieca e noncurante nella nostra potenza, nella capacità delle nostre spalle di reggere tutto”.

    Le donne hanno più confidenza con il dolore, con la fatica, con i corpi e con l'anima, ma anche con il buio, con la capacità di restare un passo indietro: vai avanti tu, qui c'è ancora un sacco da fare. E allora dicono: ma no, alzare l'età della pensione significa semplicemente che siete tutti uguali, voialtri, e l'età si allunga (attenzione: anche la necessità di accudimento si allarga, in un paese per vecchi), e vorrete mica andare in pensione a sessant'anni, quando siete splendenti di vita e di forza e di idee e di capacità di realizzarle? Volete uscire dalla vita attiva (non dite mai uscire dalla vita attiva a una donna, se non volete un ferro da stiro in faccia, un intero asilo nido addosso, una sedia a rotelle in testa) così presto, come le vostre madri che andavano in pensione anche a trentasei anni? A trentasei anni una donna adesso comincia, si affaccia alla vita (età media per il primo figlio, età della conquista dei contributi: la mia adorata vicina di scrivania, classe 1954, quindi non una nuova generazione precaria, ha lavorato in nero per dieci anni, fino ai trentaquattro: le davano cinquecentomila lire in mano ogni mese per dodici ore di lavoro al giorno, non le sembrava tanto strano, non è tanto strano, dopo le lacrime di domenica scorsa potrà andare in pensione nel 2020, a quasi sessantotto anni). Ed è vero, dopo avere tanto faticosamente conquistato un ruolo, lasciarlo per raggiunti limiti di età non è sempre una liberazione. “Se avessi potuto continuare a lavorare, a essere indispensabile, sarebbe stato un sollievo”. Facevano un lavoro che amavano, si truccavano la mattina, si sentivano rispondere: grazie, e certe pratiche sapevano sbrigarle solo loro, mentre a casa nessuno dice mai grazie, a casa musi e recriminazioni. Dice Franca Fossati, femminista storica, per sei anni direttrice di Noidonne, che “il problema non è l'innalzamento dell'età pensionabile, ma il mancato aiuto, il non riconoscimento di tutto il resto, il fatto di non ripensare tutta l'organizzazione del lavoro. Pensavo: adesso che è stata ripristinata l'Ici, i comuni potranno investire nei servizi, ma mi hanno già detto che è un sogno, e che semplicemente il ceto medio sta trafugando i propri risparmi, quindi le statistiche non hanno ancora potuto ben rilevare l'impoverimento”. Perché, come ha detto anche Chiara Saraceno, i servizi (asili, assistenza, sostegno, rete di salvataggio) sono “visti come un lusso e non come un investimento”. Nemmeno le donne, si è capito, sono viste come un investimento, e “costerà meno il lavoro di donne e giovani sotto i trentacinque anni”, titolo del Corriere della Sera di ieri, fa quasi ridere. Elsa Fornero cestina gli inviti a convegni in cui i relatori sono solo uomini, si alza e se ne va da riunioni in cui non ci sono rappresentanti donne, ma valorizzare le donne, senza che equivalga a dire: salviamo i panda dall'estinzione, richiede rivoluzione culturale e cattiveria. Non bastano due lacrime (perfette, fra l'altro, per farsi trattare da psicolabili, cosa che è parzialmente successa). Cattive, bisogna diventare cattive.

    Luisa Muraro, filosofa, socia fondatrice
    della Libreria delle donne di Milano, autrice di un volume fondamentale, “Non è da tutti, l'indicibile fortuna di nascere donna” (in cui teorizza con parole per nulla rivendicative la superiorità della differenza, quel qualcosa che eccede il confronto con gli uomini), ha provato un moto di simpatia verso Elsa Fornero (“ha pianto e la capisco; poi ha fatto bene a prendersela con i rappresentanti dei giovani, tutti maschi: ‘Ci hanno eletto', hanno risposto: bravi, ma non basta come scusa, anzi!”), ma è molto arrabbiata: dice al Foglio che questa manovra “è una beffa, una beffa che si ripete, è la beffa delle politiche europee di parità che di fatto vanno contro le donne: sono uomini che fanno le cause contro donne per molestie sessuali, sono uomini che vanno a specializzarsi nella professione usufruendo del congedo di maternità esteso ai padri. E quando si tratta di donne: via il divieto di lavoro notturno e ora l'innalzamento dell'età pensionabile. Qual è la mia conclusione? Bisogna diventare cattive sul serio, non intendo con i figli, e non intendo con le persone amiche, ma con tutti quelli che c'entrano con questa politica, che è debole coi forti e forte coi deboli, e mette all'ultimo posto le cose più importanti, cioè la vita delle persone nella loro interezza. Bisogna diventare cattive con i responsabili e i complici”. Che non vedono, che continuano a non voler vedere la preziosità, il rischio davvero di soffocare ogni entusiasmo, e che credono che la parità sia questa: lo stesso anno di pensionamento per gli uomini e per le donne. “Va benissimo, posso tranquillamente andare in pensione a novant'anni, che mi importa, ma voglio adesso il tempo che mi serve”, dice Cristina Sivieri Tagliabue, trentenne scrittrice, blogger, direttrice del nuovo Women, che sabato 11 dicembre, contemporaneamente alla manifestazione delle donne di “Se non ora quando?”, lancia il sito internet del giornale. “Mi basterebbe avere quel che aveva mia madre: penso alla lentezza e ai privilegi di chi mi ha preceduto e a noi che dobbiamo correre con i lupi, vorrei una banca del tempo per farmi anticipare il tempo che avrò dopo i settant'anni”.
    Le trentenni di adesso, come quelle di allora, non pensano certo alla pensione (ho guardato per gioco la data probabile della mia, 2045, e non me ne importa nulla, e credo non importi a nessuno di quelli della mia età, completamente immersi nelle cose da fare e da avere, non in quelle da lasciare, e con una vita lavorativa così frammentata e flessibile da non immaginare nemmeno il tempo dei giardinetti). “Mi arrabbio perché mia madre è andata in pensione a cinquantanove anni e io ho fatto le guerre nucleari per stare con mia figlia di otto mesi”, dice Paola Liberace, saggista, trentenne, autrice di “Contro gli asili nido”, in cui propone part time, moduli, telelavoro, soluzioni armonizzabili con la vita di una madre. “Non mi importa di lavorare due anni in più e non mi interessa il risarcimento del danno: ti sei fatta un mazzo così, poverina, va' pure in pensione prima. Lotto contro il danno. Il tempo ci serve prima, quando abbiamo la vita tra le mani, i figli piccoli, l'energia per stare completamente nel mondo. La fine carriera è importante, ma il risarcimento del tempo perso non serve a nulla e le esigenze di contemporaneità le avremo già sofferte prima, nessuno ci ridarà indietro quei giorni, quella formazione non fatta, quella specializzazione sfuggita, quel piccoletto mollato mocciolante all'asilo nido. Occorre redistribuire questo tempo vitalissimo, prezioso, fare in modo che chi lo desidera possa utilizzarlo. Se davvero si riuscisse a entrare nella logica dell'investimento, credo che bisognerebbe investire sulle donne quando sono giovani più che sulle pensionate: quando sono lì scalpitanti con la vita tra le mani, credo sia quello il momento in cui vada data alle donne una possibilità in più, e nessuno se ne pentirebbe.

    La cosa bella (mostruosa) è che non c'è una gara,
    qui non si investe su nessuno. Speriamo che sia femmina, così si occuperà lei di tutto, di noi da vecchi, dei nipotini, del marito, dei genitori del marito, speriamo che sia femmina così il paese si indebiterà meno. E' un pensiero che davvero, come dice Luisa Muraro, deve renderci cattive. Perché si può fare tutto, abbiamo sempre fatto tutto: stare coi bambini, curare i vecchi, contare nelle cose del mondo, ma c'è bisogno di un raggio di luce, qualcosa che tenga il ritmo femminile e non lo ridicolizzi in “fare la calza”, uno sguardo acuto (in Germania, perché andare nei paesi nordici sarebbe troppo, un figlio vale un anno di contributi figurativi, per citare una cosa piccolissima) e riconoscimento. Chiara Saraceno, autrice con Manuela Naldini di “Conciliare famiglia e lavoro” (non alzare gli occhi al cielo. Famiglia siamo tutti, maschi, femmine, con e senza figli, badanti che ci permettono di restare ancora in sella: nessuna uscita dall'euro sarebbe devastante quanto un'uscita dalle donne), ha scritto che quest'equilibrio faticoso è sempre più fragile e temporaneo, in base alla lettura congiunta dei fenomeni di invecchiamento e dei tassi di occupazione femminile: “Nel giro di pochi anni il deficit di cura rischia di diventare esplosivo”. E non si tratta solo di questo, ma anche della gioia di farlo e la possibilità di mantenere, come ha scritto Luisa Muraro, “un filo di quell'umore felice da surfista che corre sulla cresta dell'onda”. Felice di non essersi trasformata in un uomo, felice di non gareggiare, felice di schivare la traiettoria macabra del sempre più potere e vivere invece nel mondo reale. Bisogna avere la possibilità di vivere nel mondo reale senza venire trasformate in bancomat di carne, quelli a cui poi si danno anche i calci quando ci si incazza molto. “L'ultimo romanzo di Elena Ferrante, ‘L'amica geniale', racconta la storia, bellissima, di una donna che rinuncia a troppo, che con tutti i suoi straordinari talenti non trova di meglio del matrimonio con il figlio del salumiere, paracriminale – racconta la scrittrice Chiara Gamberale – anche se è molto consapevole della propria superiorità. Ecco, vorrei che non ci fosse mai più questo laccio preventivo, e non ne faccio una questione di forze, di energie che abbiamo infinite: la pensione come gli uomini va bene, anche dopo gli uomini allora, quel che ci serve è, in mezzo, il tempo e l'opportunità di vivere”. E se siamo in grado di fare così tanto, così a lungo, così per tanti, lasciate che ve lo dimostriamo fino in fondo (visto che comunque in pensione non ci andremo mai più).

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.