Passera, la variabile incerta

Alessandro Giuli

Dopo nemmeno venti giorni di tecno-governo Corrado Passera ha collezionato già qualche scappellotto dai grandi gruppi editoriali. L'ultimo, ieri, da Repubblica sulla lentezza con la quale il governo (non) affronta il dossier frequenze tv; il primo dal Corriere della Sera in materia di conflitto d'interessi. Il superministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture, da asso di denari, totem imprenditoriale e feticcio cattolico (ben visibile nella sfilata movimentista di Todi), sta diventando il bersaglio naturale dei vecchi amici e il parafulmine su cui si scaricano retropensieri contundenti.

    Dopo nemmeno venti giorni di tecno-governo Corrado Passera ha collezionato già qualche scappellotto dai grandi gruppi editoriali. L'ultimo, ieri, da Repubblica sulla lentezza con la quale il governo (non) affronta il dossier frequenze tv; il primo dal Corriere della Sera in materia di conflitto d'interessi. Il superministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture, da asso di denari, totem imprenditoriale e feticcio cattolico (ben visibile nella sfilata movimentista di Todi), sta diventando il bersaglio naturale dei vecchi amici e il parafulmine su cui si scaricano retropensieri contundenti.

    Pesa forse il fatto che l'ex leader di Intesa Sanpaolo sia il banchiere di sistema che ha capitanato la controversa cordata di salvataggio per Alitalia (regnante Silvio Berlusconi). Stimato dai poteri neutri della borghesia illuminata nordista, vezzeggiato da Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle, ascoltato e incoraggiato dall'ex premier (e dai suoi consiglieri economici), Passera era l'uomo del futuro prima ancora che giurasse nelle mani del presidente Giorgio Napolitano. In quelle ore un autorevole commentatore di cose finanziarie (area Confindustria), interrogato sull'eventualità che fosse Passera il vero (anomalo?) prodotto politico dell'era Monti, rispondeva: perché no? E' un uomo ricco e non ha bisogno di denari, è influente nel mondo della comunicazione, è dotato di relazioni ed entrature pesanti nel mondo laico e in quello confessionale. Una figura a metà tra il proto Berlusconi e il civil servant.

    Uno che invece Passera lo guarda di sbieco, ma a intermittenza, è Carlo De Benedetti, con il suo gruppo Repubblica-Espresso. All'inizio della legislatura, Passera è stato anche coccolato da CDB: entrambi cominciavano a preoccuparsi della centralità acquisita da Cesare Geronzi nel sistema assicurativo-bancario con il sostanziale benestare di Giovanni Bazoli (padre nobile e contraltare di Passera in Intesa). Era invece il Corriere della Sera, in quella circostanza, a risentire del patto di non belligeranza tra i due arzilli patriarchi. Ci fu uno scambio di fuoco incrociato, Rep. contro Zaleski-Bazoli e Corsera contro Passera-Zunino, poi le armi tacquero.

    Eppure, nella testa di De Benedetti, Passera resta pur sempre il collabò che nel 2008 si è macchiato d'intelligenza con il berlusconismo nell'affaire Alitalia, con l'intervento deciso di Intesa Sanpaolo (l'acquisto di un pacchetto azionario del 10 per cento nel capitale della compagnia) che di fatto puntellò il Cav. nel suo spettacolare (e un po' sgangherato) disegno aeropatriottico. Il che ha avuto un riflesso sgradito, in considerazione del fatto che il predecessore Romano Prodi aveva allestito un piano di salvataggio basato sull'ingresso di Air France (fu il tema della campagna elettorale). Prodi non ha dimenticato, e nemmeno CDB: la corazzata Repubblica-Espresso vede nel governo Monti uno strumento di decantazione utile a preparare, fra l'altro, la via del Quirinale per il prof. bolognese. In questo schema, Passera è la variabile meno sicura e il sospettato numero uno. Il suo conflitto d'interessi più evidente, di là da quelli prontamente colti sulle pagine di Rep., si chiama Silvio Berlusconi.

    Più misterioso, e dunque anche più interessante, è l'atteggiamento del Corriere della Sera verso il superministro. I riguardi non mancano – il governo Monti ha un limpido marchio corrierista, oltreché bocconiano – ma nemmeno le rasoiate. Un paio di corsivi conficcati sui potenziali conflitti d'interesse e sulle debolezze dell'esecutivo sul fronte liberale segnalano un tratto storico del Corriere. La dissimulazione: guai a dare l'idea d'essere schiacciati su un governo che ruba alle vecchiette per dare ai banchieri. Ma ovviamente c'è dell'altro.

    C'è il gruppo dei così detti “bresciani” vicini a Piergaetano Marchetti (presidente Rcs). E cioè il pesante azionista Bazoli e il suo valente economista Massimo Mucchetti. Loro s'aspettano qualcosa di preciso da Passera: un atteggiamento possibilista rispetto agli interessi finanziari parigini su alcuni gioielli nazionali in via, diciamo così, di ristrutturazione. Per esempio Finmeccanica? Vedremo. Certo non si può dire che ultimamente i francesi siano stati così ben trattati dai banchieri di sistema come Passera, sopra tutto in Mediobanca-Generali, con l'eclissi del loro amico Geronzi. Forse non era del tutto estranea a questi interessi l'infruttuosa battaglia del Corriere della Sera contro l'Eni “alla campagna di Russia” – il titolo di uno degli affondi firmati dal bazoliano Mucchetti – avviata nella primavera di quest'anno. Cioè proprio quando Edf voleva perfezionare il suo controllo su Edison e Repubblica suonava l'allarme con Giovanni Pons: “Da Bolloré a Groupama, da Edf a Lactalis, l'affondo di Parigi su finanza e industria”.

    Oggi “les banquiers” presentano cambiali
    o si attendono un risarcimento. La debolezza del sistema politico aiuta, il governo del Preside può rappresentare un buon viatico. Ma la presenza strategica del banchiere di sistema che ha sbarrato le frontiere sul caso Alitalia, faute de mieux, rende necessaria una vigile pressione.