Con la riforma Fornero i settantenni saranno al top

Stefano Di Michele

Una volta – Prima Repubblica, tutt'altro mondo, tutt'altra musica – pure canzonettisticamente il problema era “il vecchietto dove lo metto?”. Adesso la questione è diventata dove mettere il ragazzotto, il giovanotto, il trentenne che – un po' bamboccione, un po' precario – ancora accasato con mammà e papà sta, magari pure attaccato alla canna del gas della pensione del nonno.

    Una volta – Prima Repubblica, tutt'altro mondo, tutt'altra musica – pure canzonettisticamente il problema era “il vecchietto dove lo metto?”. Adesso la questione è diventata dove mettere il ragazzotto, il giovanotto, il trentenne che – un po' bamboccione, un po' precario – ancora accasato con mammà e papà sta, magari pure attaccato alla canna del gas della pensione del nonno. Dai tre anni della riforma Maroni ai sei attuali, il famigerato scalone si è trasformato in una vertiginosa piramide atzeca, minimo trecento scalini fino all'ara dei sacrifici umani.

    Diceva a “Ballarò” appunto l'ex ministro leghista: così come faranno i giovani a entrare nel mondo del lavoro? Replicava il neo sottosegretario a Palazzo Chigi, Catricalà (il nuovo Letta, che televisivamente in due settimane ha fatto più che il suo predecessore in quindici anni), che i giovanotti inoperosi senza la benemerita riforma del governo Monti “saranno i badanti di coloro che avevano fatto i badanti ai loro nonni”. Però lo stesso non si scappa: non è un paese per giovani, sono giorni prostatici più che di pettorali palestrati; di sagge studiose, piuttosto che di fanciulle ingegnose. La bellezza dell'asino è stata definitivamente sostituita dalla convenienza della tartaruga, lenta e centenaria. O della salamandra, eterna e indistruttibile. Tutti quelli che volevano rottamare da una certa età in poi sono finiti politicamente e socialmente accatastati in un angolo – ridotti a dandy dell'innovazione, belle speranze frantumate nel primo vero scontro con il reale.

    Ovunque, facce segnate dall'esperienza, dalla rughe, volendo (e a piacere) dalla saggezza. Al tosto ministero del Viminale, per dire, invece di Maroni, una sorta di pischello padano, è il turno della simpaticissima signora prefetto Cancellieri – che pare la sua affidabilissima mamma. Ministero della gioventù scomparso – probabilmente tra generali rallegramenti. “Ma quando arrivano le ragazze?”, era il titolo di un film di Pupi Avati. Ora si sa che per un bel pezzo non arriveranno – né loro, né i maschietti coetanei. Tutti miravano allo scalpo dei sessantenni, e qualche anno fa fu persino lanciata una petizione (primo firmatario Luca Josi, che adesso si ritrova a scontrarsi per faccende di produzioni televisive con Giovanni Minoli, classe 1945), i cui sottoscrittori s'impegnavano, a 60 anni, a togliersi dai piedi. Fu un grande accorrere, dal banchiere Profumo a Marco Follini, più o meno tutta gente ancora convenientemente ben distante dal fatidico traguardo.

    Questi “patti generazionali” (o “patto intergenerazionale”, come Catricalà chiama la mazzata pensionistica) fanno venire l'orticaria lessicale solo a sentirli nominare: di poca consistenza mediatica e nessuna consistenza pratica. Per dire: Piero Fassino, 1949, firmò con entusiasmo, “dopo i 60 anni mi ritiro per far spazio ai giovani e non accetterò più cariche pubbliche”, si esaltò politicamente, “lo applicheremo alla costruzione del Pd” – poi, felicemente e con gran successo, a 62 anni è stato eletto sindaco di Torino. Il problema è che non c'è patto generazionale che tenga – e adesso, e chissà per quanto, forse non c'è patto generazionale pensabile.

    Il triplo salto mortale imposto al sistema pensionistico, oggettivamente lo rende improponibile anche solo come giochino mediatico. E da quello che non molla la sedia in ufficio perché non può a quello che non molla la poltrona perché non vuole, il passo è breve quanto la convinzione sociale che così sia giusto e opportuno. Credevamo di essere molto global e molto cool, siamo sostanzialmente diventati dei confuciani da riporto – con la venerazione, o la dovuta sopportazione, per gli anziani: loro è la saggezza (il NYT incorona Napolitano “Re Giorgio”, e non uno che non abbia detto: per fortuna che Napolitano c'è, con l'esperienza dei suoi non pochi anni) e loro il nostro destino. Pensare che poco più di vent'anni fa Gianni Agnelli si proponeva di “rottamare i cinquantenni”: adesso dovrebbe tenersi cari anche i settantenni.

    E forse nemmeno ci spiace più di tanto. “Gli italiani non sono parricidi, sono fratricidi. Vogliono darsi al padre ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli”, sosteneva – molto praticamente e poco poeticamente – Umberto Saba. E si riconferma la grande saggezza della chiesa cattolica: pur lavorando sull'eternità, i suoi vescovi a 75 anni li spedisce in pensione e buonanotte, e dopo gli ottant'anni impedisce ai cardinali l'accesso al Conclave: patto o non patto, a un certo punto (e a una certa età) nemmeno lo Spirito Santo può qualcosa.