Le casalinghe disperate fanno scuola di televisione
Alla fine è arrivata anche sugli schermi italiani l'ottava e ultima stagione di Desperate Housewives, uno dei serial più amati degli ultimi dieci anni. Con la serie non si chiude solamente un'avventura di successo, ma una pagina di storia della televisione. Il racconto è stato partorito dalla mente di Marc Cherry, che per tutta la sua durata ha saputo riprendere, smontare e ricomporre alcuni tra i contenuti più importanti della narrativa e del cinema moderni. Ciò l'ha reso capace di proporre interessanti metafore sul costume occidentale contemporaneo.
Alla fine è arrivata anche sugli schermi italiani l'ottava e ultima stagione di Desperate Housewives, uno dei serial più amati degli ultimi dieci anni. Con la serie non si chiude solamente un'avventura di successo, ma una pagina di storia della televisione. Il racconto è stato partorito dalla mente di Marc Cherry, che per tutta la sua durata ha saputo riprendere, smontare e ricomporre alcuni tra i contenuti più importanti della narrativa e del cinema moderni. Ciò l'ha reso capace di proporre interessanti metafore sul costume occidentale contemporaneo. Temi come la vita in periferia, la condizione della donna, l'amore, il peccato, l'omicidio, la famiglia, l'opulenza e la povertà, sono stati ripresi e completamente decostruiti da Cherry rispetto alla funzione che tradizionalmente hanno assunto nel nostro immaginario.
Uno dei tratti caratteristici di Desperate Housewives è il protagonismo assoluto delle donne. La “femminilizzazione” della società è l'antefatto che permette alla serie di rilanciare una tipologia di donna “derivata”, che ha memoria dei romanzi rosa, dei feuilleton, della stampa femminile, dei fotoromanzi e del cinema di genere; e allo stesso tempo, di proporre delle figure capaci di decostruire i significati profondi, le simbologie tradizionali, le culture, veicolati da tali linguaggi. Desperate Housewives sembra, pertanto, voler giocare con gli stereotipi della donna americana – figura quanto mai globale e globalizzante – la scompone e la ricompone, consegnandoci una traccia di femminilità contemporanea del tutto nuova.
Seguendo questo ragionamento appare evidente come già nella stessa fisicità delle protagoniste ci sia un sottile gioco illusorio. Le quattro casalinghe disperate simboleggiano le etnie e le culture che hanno fondato la civiltà americana: Bree Van de Kamp il ceppo germanico-olandese, Lynette Scavo quello inglese, Gabrielle Solis e Susan Mayer quello ispano-mediterraneo. Le casalinghe disperate si divertono, in maniera molto sofisticata, a confutare l'immaginario che sta alle spalle di ogni etnia protagonista della serie, decostruendo e riconfigurando le tradizionali figure femminili appartenenti alle quattro etnie-culture.
Questo escamotage è particolarmente evidente nella figura di Bree, la rossa wasp puritana. A dispetto della sua collocazione etnoculturale, Bree dovrà misurarsi durante le otto stagioni del serial con le beghe di un figlio gay e di una figlia libertina e ragazza madre, con le tendenze sado-maso di Rex, il primo marito, e con la spiccata attitudine alla cleptomania del secondo consorte. Nonostante tali eventi, raggiungerà lo stesso un successo e una ricchezza considerevoli grazie ad un lavoro anch'esso caratterizzato dal doppio registro tradizione/modernità, che più volte abbiamo sottolineato: sarà l'autrice di successo di libri d'economia domestica. Ciò la pone in netta contraddizione con il rapporto tra lavoro, reputazione e stato di grazia tipico della sua cultura d'origine, quella protestante nord europea.
Eppure a Wisteria Leane manca l'azione della pressione sociale. E' del tutto assente il potere sanzionatorio–morale delle istituzioni e scarseggia quello della società civile. Ciò annulla l'equilibrio tra apparenza e vita privata tipico dell'etica della società borghese, deviando il senso del puritanismo di Bree, e con esso la natura della sua femminilità, verso una condizione prettamente estetica, priva di quelle morali e di quei valori che paradossalmente hanno costruito “l'essere puritano” nella storia recente della civiltà occidentale. Tutto ciò ha conferito a Desperate Housewives una doppia capacità: quella di essere allo stesso tempo memoria della nostra storia culturale e suo superamento. In altre parole, questa serie ha saputo farci vedere quello che siamo grazie ad un raffinato gioco di citazioni, volto a modificare alcuni luoghi e figure comuni della nostra cultura. D'altro canto, che senso ha essere puritani in una comunità orfana del puritanesimo?
Non si può non notare come e quanto, durante queste lunghe e intense otto stagioni, le casalinghe disperate abbiano preso di petto la cultura occidentale con la sapiente raffinatezza delle sue metafore, arrivando a imporre uno stile, una maniera. Questa serie ha inaugurato, su scala globale, un nuovo modo di rappresentare il presente, teso a mettere in evidenza, con piacevole disincanto, l'emergere di nuovi stili di vita tipici dei nostri tempi. Il suo originale racconto della società occidentale ne ha fatto, oltretutto, un punto di riferimento per i successivi prodotti televisivi. Senza Desperate Housewives probabilmente non ci sarebbe stato Mad Men, e sicuramente avremmo avuto meno, e peggiori, chiavi di lettura per capire il presente.
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