Quei politici zitti sotto la gogna senza saper dire che lo stipendio è giusto

Salvatore Merlo

Non difendono il proprio stipendio sui giornali, in televisione, nel dibattito pubblico, insomma non lo fanno alla luce del sole, in superficie; ma danno l'impressione di volersi proteggere nell'ombra, nelle commissioni costruite ad hoc, nelle lungaggini parlamentari. E si consegnano fatalmente alla gogna. “Domani chiudiamo la questione dei vitalizi e inizieremo a trattare il tema della riduzione degli stipendi. Il taglio si deve fare”, dice Lorenzo Cesa.

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    Questa mattina due emendamenti dell'esecutivo alla manovra economica sono arrivati in commissione Bilancio e Finanze della Camera, che comincia così il suo iter parlamentare. Il governo ha deciso di eliminare dal decreto le norme che tagliano le indennità a deputati e senatori. Saranno le Camere a legiferare in materia per livellare gli stipendi dei parlamentari italiani a quelli europei.

    Non difendono il proprio stipendio sui giornali, in televisione, nel dibattito pubblico, insomma non lo fanno alla luce del sole, in superficie; ma danno l'impressione di volersi proteggere nell'ombra, nelle commissioni costruite ad hoc, nelle lungaggini parlamentari. E si consegnano fatalmente alla gogna.

    “Domani chiudiamo la questione dei vitalizi e inizieremo a trattare il tema della riduzione degli stipendi. Il taglio si deve fare”, dice Lorenzo Cesa. “Senza se e senza ma”, specifica il segretario dell'Udc. Solo Rosy Bindi, non senza coraggio, ieri ha dato voce ai pensieri del deputato medio, che ha un segretario, un addetto stampa, un ufficio nel collegio di appartenenza e pensa di non guadagnare poi così tanto. “Se dovessimo adeguarci alla media europea, visti i compensi dei collaboratori, dovremmo costare di più”, ha detto Rosy Bindi.

    Malgrado quasi tutti i parlamentari
    siano intimamente convinti di non guadagnare troppo, sono pochissimi quelli che trovano il coraggio di dirlo, un po' per convenienza, per timore, per conformismo, o per semplice pudore. “Un gentiluomo non parla del proprio stipendio, prende quanto gli danno, sia che sia troppo o troppo poco”, sorride Gaetano Quagliariello, il vicecapogruppo del Pdl al Senato.

    Renato Schifani e Gianfranco Fini hanno aperto la pratica (o forse l'hanno chiusa, a seconda delle interpretazioni più o meno maligne). I presidenti di Camera e Senato hanno difeso le prerogative del Parlamento dal governo Monti (che avrebbe tagliato tutto e subito per decreto), e hanno promesso che le Camere decideranno sulla riduzione dei compensi dei loro membri in “tempi rapidi” (ma deve prima pronunciarsi una commissione appositamente convocata per valutare se e quanto gli stipendi dei parlamentari italiani siano più elevati di quelli dei colleghi dell'Unione europea. E il presidente della suddetta commissione, Enrico Giovannini, presidente anche dell'Istat, ha già detto che “forse avremo qualche risposta ad aprile 2012”). Forse ad aprile 2012.

    I parlamentari che vengono dalle esperienze del maggioritario uninominale criticano i colleghi che “non fanno politica”, quelli che non hanno rapporti con il loro territorio di provenienza, che sono stati semplicemente nominati e non vanno in giro, non hanno segretarie o uffici di rappresentanza. Eppure lo stipendio è di quasi tredicimila euro al mese, mica poco. “No, lo stipendio è di quattromilaottocento euro, e da gennaio diventerà di quattromilatrecento euro perché incide il contributo di solidarietà”, dice Sergio Pizzolante, deputato romagnolo del Pdl. “Il resto, circa ottomila euro, sono rimborsi forfettari, ovvero la diaria per la permanenza a Roma e il contributo per l'attività nel collegio. Sono soldi che io spendo, tutti, per fare politica”. E non bastano? “Non bastano. Io spendo duemila euro per la casa a Roma, 2500-3000 euro tra stipendio e rimborsi per il mio collaboratore, uffici e servizi del partito sul territorio. Rimangono altri tremila-tremilacinquecento euro con i quali da fuorisede devo pagare i taxi, i pasti, il telefono, gli incontri, i convegni e dunque la macchina (faccio circa cinquantamila chilometri l'anno). Infine c'è anche la campagna elettorale: le ultime due sono costate in totale centomila euro, cinquantamila euro l'una. Senza il finanziamento legale di amici e sostenitori politici nessuna persona normale, cioè non milionaria, se le sarebbe potute pagare da solo con diaria e stipendio”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.