Profumo, il ministro (poli)tecnico di sinistra ma filo-gelminista
"Glasnost”, l'ha chiamata Repubblica: il neo ministro dell'Istruzione Francesco Profumo rende noti i numeri sulle “classi sovraffollate” che “inchiodano la Gelmini”, scriveva ieri il quotidiano di Largo Fochetti, esaltando la “trasparenza” di oggi rispetto al presunto buio del passato.
"Glasnost”, l'ha chiamata Repubblica: il neo ministro dell'Istruzione Francesco Profumo rende noti i numeri sulle “classi sovraffollate” che “inchiodano la Gelmini”, scriveva ieri il quotidiano di Largo Fochetti, esaltando la “trasparenza” di oggi rispetto al presunto buio del passato (ma intanto chi, a Torino, conosce il ministro Profumo dice che Profumo, “metodo di comunicazione a parte, sulla sostanza non rottamerà la riforma Gelmini, anzi”). E insomma il ministro tecnico dell'Istruzione, fresco di contestazione studentesca con coro di indignados ad Alessandria (due giorni fa), conquista Rep. mentre è già investito da niet preventivi bipartisan (no ai “buonismi” del sottosegretario Marco Rossi Doria, ex maestro di strada a Napoli, scrive il Giornale; no alla conservazione della poltrona al vertice del Cnr, scrivono blogger, professori e commentatori di area pd ed extra pd). Di fatto Francesco Profumo, rettore del Politecnico di Torino per anni e presidente del Cnr per qualche mese soltanto (dall'estate, su scelta di Mariastella Gelmini), quell'incarico al Cnr vorrebbe tanto “congelarlo”, come ha scritto il giornale on line il Foglietto e come ha fatto intendere sua moglie Anna, dal foyer del Teatro Regio, durante il Torino Film Festival: “Siamo contenti, ma Francesco è dispiaciuto per il Cnr”.
Voglio fare come Tony Blair, ha detto Profumo in un weekend torinese di seminari sul futuro della città, alla vigilia del primo Consiglio dei ministri dell'epoca tecnica, quello della lacrime versate dalla sua collega Elsa Fornero. Si riferiva al cosiddetto “modello pensatoio”, Profumo: prendere “quattro o cinque dottori di ricerca, menti fresche e giovani, pronte a discutere, ad analizzare i modelli migliori, a tirare fuori il meglio del nostro paese per trasformarlo”, ha detto il ministro in un momento “di enfasi da stratega”, dice un amico, convinto che “Francesco guardi sempre talmente avanti da rischiare di non tenere conto di alcuni dati di realtà”. Non è “uomo da salotti”, Profumo, dicono a Torino; è “uomo di ambienti e relazioni internazionali”, dicono a Roma. Di sicuro non è un intellò in senso classico del termine, il ministro, a giudicare dal curriculum di ingegnere e professore in discipline che, lungi dall'alludere alla semiologia, alla storia, alla filologia romanza o alla critica letteraria, scandagliano gli universi delle “macchine ad azionamento elettrico”, con qualche divagazione sulle “celle a combustibile” – e questo fin da quando era dipendente dell'Ansaldo, settore Sviluppo.
Non è neppure torinese, Profumo, bensì savonese. E però a Torino ha trovato tutto: il lavoro della vita, l'amore (moglie insegnante, tre figli), e il trampolino politico: candidatura ventilata a sindaco di Torino per il centrosinistra, poi “ritirata per spianare la strada a Piero Fassino”, dice un politico locale. Erano giorni di dibattito sulle primarie, era più o meno un anno fa e l'allora rettore Profumo decise di scrivere una lettera aperta alla cittadinanza in cui in sostanza diceva: grazie, sono molto onorato, ma volevo essere il candidato della “società civile” e non “di un partito”. Ed era tutto un convenevole, dopo, in un Pd che pure qualche mugugno anti Profumo l'aveva espresso: Fassino diceva mi candido solo se Profumo rinuncia e Chiamparino lodava la lettera di Profumo (e però intanto faceva capire che, fattosi da parte Profumo, le condizioni per la candidatura di Fassino erano finalmente servite). Passo indietro, Fassino eletto, ma c'è chi a Torino dice che a Profumo “il pallino del balzo in politica è rimasto”. Sia come sia, il primo dicembre del 2011 il neo ministro, alla vigilia della presentazione della manovra Monti, sembrava già guardare a un periodo non del tutto tecnico: “Il provvedimento chiamiamolo provvedimento e non manovra… progetto complessivo… il paese ha bisogno di equità, di trovare una modalità per ripartire nella crescita”.
Non immaginava di ritrovarsi col cellulare spento la sera della convocazione, Francesco Profumo (Mattia Feltri, sulla Stampa, ha raccontato la saga del povero telefonista del Viminale alle prese con un ministro designato che fa la pennica a ora di cena. Conseguenze: una telefonata al quasi omonimo e forse speranzoso Alessandro Profumo). Fino a un mese fa, comunque, il rettore Francesco Profumo, se ripreso in tv, ancora reclinava la testa all'indietro come chi non è abituato alla diretta e stirava gli occhi in un sorriso imbarazzato (“con quelle labbra che virano a destra e quel volto vissuto sembra un attore shakespeariano prima della prima”, scherza un cronista esperto di fisiognomica ministeriale).
A chi voglia approfondire la dimensione internazionale del ministro, gli amici del ministro rispondono con frasi che suonano grosso modo così: “Profumo è uomo di mondo in senso letterale: ha girato l'Asia e le Americhe”. La senatrice del Pd Maria Leddi, che con Profumo si trovò a collaborare ai tempi in cui lui era rettore e lei segretario della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, parla invece della sua dimensione cittadina, definendolo “molto parsimonioso: non chiedeva dieci per avere cinque” e “dotato di un elemento curriculare fondamentale: la buena educatión”. “E' colui che attuerà la riforma Gelmini senza farsi accorgere”, dice un altro esponente del centrosinistra. “E' colui che farà fare all'Università italiana i passi che trent'anni di vecchiume rendono necessari”, dice un collega al Politecnico. Uno studente ammiratore fa notare che Profumo “ha riempito di cinesi l'ateneo” e, in effetti, a inizio autunno, il Sole 24 ore ha scritto: 21 per cento di pre-iscrizioni dall'estero, soprattutto da “Cina, Grecia e Camerun”. E insomma, racconta un'osservatrice torinese, “ci fu un anno in cui Profumo portò a Torino un docente ingegnere da Shanghai e un anno in cui gli ingegneri torinesi presero la via di Pechino”. Ci furono perplessità, tra gli studenti, come ci sono oggi polemiche per la decisione (sempre di Profumo) di portare i master al Lingotto, in una sorta di cittadella a parte, e di “scommettere” sui dottorati all'interno delle aziende, per dirla con il Sole 24 ore del 21 novembre. Gli studenti più arrabbiati, quelli del Collettivo del Politecnico torinese, hanno accusato il già rettore Profumo, sulla rivista on line Metropolis, di aver voluto “incrementare soltanto il profitto privato”. Seguiva l'elenco dei veri o presunti conflitti di interesse del professore-rettore-ministro: è stato nel cda Telecom (si è dimesso), è stato nel cda Pirelli (idem), è stato al vertice di Unicredit Private Bank; ha avuto, al Politecnico, la General Motors con ufficio interno (c'è chi, nel Collettivo, considera General Motors il cavallo di troia per l'ingerenza di Goldman Sachs in Ateneo, tanto più che Monti è stato suo consulente – tutto si tiene, per gli studenti anti Profumo: “Qui ignorava quello che avevamo da dire”, scrivono al colmo dell'indignazione un tanto al chilo). Un ex rappresentante degli studenti, più benevolo, dice invece che Profumo “era sempre disponibile all'ascolto, non dovevi neppure prendere appuntamento”.
Che farà Profumo col Cnr, si chiedono intanto gli osservatori? Il Secolo d'Italia aveva sferrato addirittura un attacco preventivo, il 27 luglio scorso. Chissà perché la Gelmini ha scelto lui, si chiedeva il cronista, e concludeva: “Perché regalare il Cnr ai democratici?”. “Profumo è stato nel comitato direttivo di Italianieuropei”, fa notare maliziosamente un deputato pd (non dalemiano). Profumo è “vicino a Bagnasco”, ha scritto il Manifesto. Famiglia Cristiana l'aveva intervistato poco prima della nomina, e dopo la nomina ha ritirato fuori l'intervista: “Bisogna mischiare il sangue”, diceva il futuro ministro, parlando di soggiorni studenteschi all'estero. “Profumo è già oltre la riforma Gelmini”, assicura infine un collega.
Sarà che a Profumo, racconta un'amica, “piace cambiare tavolo”. Ha insegnato in Asia come a Praga, a Nagasaki come a Princeton come a Cordoba. Sua moglie, racconta un'amica di famiglia, aveva “un bel da fare con tre figli in giro per il mondo” (effetto paradossale: per uno dei tre che ha potuto lavorare negli Stati Uniti “da cittadino americano”, due si ritrovavano puntualmente a dover rinnovare il visto). E pensare che il suocero di Profumo, primario ad Alba, per tutta la vita si era spostato al massimo da casa in ospedale e dall'ospedale a casa – “non aveva neanche bisogno del cappotto tanto era breve il tragitto”, dice una conoscente. L'aereo no, per carità: il suocero si era trovato di turno al pronto soccorso il giorno della tragedia di Superga, nel 1949, e il ricordo di un'intera squadra di calcio annientata rese feroce (e vana) la sua opposizione al viaggio di nozze dei coniugi Profumo in Brasile.
Tra il rettore del Politecnico e il neo ministro non si può tracciare una linea netta. Profumo “anche al ministero vuole dematerializzare”, dice chi ha lavorato con lui (traduzione: il ministro chiede rassegna stampa non cartacea). Otto mesi fa, a un convegno sull'innovazione moderato da Riccardo Luna, ex direttore di Wired e fan della wiki-democrazia, il futuro ministro dell'Istruzione mostrava tutta la sua fiducia nel Web più sconfinato. Cavallo di battaglia, dei fantomatici “wiki appunti” da cui tutti gli studenti possano attingere.
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