Ecco che cosa è rimasto delle liberalizzazioni invocate dal Preside

Carlo Stagnaro

Che fine hanno fatto le liberalizzazioni? Il titolo IV del decreto “salva Italia” contiene una serie di provvedimenti che, nelle intenzioni, avrebbero dovuto aprire spazi concorrenziali finora preclusi. Fin dall'inizio, il testo approvato dal governo ha destato qualche perplessità in chi si attendeva più decisione: molti settori, dalle poste alle ferrovie fino all'energia, sono rimasti immuni dallo sforzo pro concorrenziale. Le successive revisioni del testo hanno aumentato i dubbi e infiacchito le speranze.

    Che fine hanno fatto le liberalizzazioni? Il titolo IV del decreto “salva Italia” contiene una serie di provvedimenti che, nelle intenzioni, avrebbero dovuto aprire spazi concorrenziali finora preclusi. Fin dall'inizio, il testo approvato dal governo ha destato qualche perplessità in chi si attendeva più decisione: molti settori, dalle poste alle ferrovie fino all'energia, sono rimasti immuni dallo sforzo pro concorrenziale. Le successive revisioni del testo hanno aumentato i dubbi e infiacchito le speranze.

    Intendiamoci: restano, nel provvedimento, alcune misure importanti. La principale è l'innovazione sugli orari e i giorni di apertura degli esercizi commerciali, che riprende e amplia l'intervento del governo Berlusconi sulle città turistiche: d'ora in poi i negozi potranno restare aperti quando e come vogliono. A dispetto delle obiezioni delle organizzazioni dei commercianti, c'è evidenza che questo avrà effetti positivi, tra l'altro, sull'inflazione, l'occupazione e la crescita: l'Osservatorio sulle liberalizzazioni del Cermes ha stimato che le sole aperture domenicali possono valere lo 0,25 per cento del pil. A questo si aggiunge il definitivo superamento, almeno nella normativa nazionale, di tutte le residue possibilità di pianificare la localizzazione delle attività economiche anche attraverso distanze minime, categorie merceologiche o altre diavolerie. Davvero bizzarro, però, che dall'ambito di applicazione di questa liberalizzazione, potenzialmente molto vasto, vengano esclusi servizi come “il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea” (i taxi, eterno scoglio simbolico su cui si infrangono le spinte liberalizzatrici).

    Su altri temi, le cose sono andate diversamente. Prendiamo le farmacie e gli ordini professionali. Nel primo caso, la liberalizzazione dei farmaci di fascia C nei centri superiori ai 12.500 abitanti è subordinata all'individuazione di “requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi” da individuarsi con successivi decreti. In sostanza, la portata potenzialmente rivoluzionaria di questa apertura rischia di affogare tra le more dei ritardi e della burocrazia; senza contare il limbo di scritture e riscritture che darà ai farmacisti l'opportunità di far sentire le proprie ragioni. Anche perché, per iniziativa governativa, nel testo  all'esame dell'Aula si prevede che possano essere venduti fuori dalle farmacie i farmaci senza ricetta medica soltanto dopo che il ministero della Salute, sentita l'Aifa, avrà individuato l'elenco di questi farmaci “entro 120 giorni” dall'entrata in vigore della legge.
    Una situazione analoga si è creata per gli ordini professionali: la promessa di apertura del mercato è ampiamente calmierata da un lato dal rimando a provvedimenti successivi, dall'altro alla (intenzionale?) ambiguità sugli obiettivi delle riforme, e comunque, anche in questo caso, dall'allungamento dei tempi per la redazione delle nuove norme. Da ultimo, e in positivo, il decreto contiene alcuni passi avanti su altri fronti: il rafforzamento dei poteri di intervento dell'Antitrust sulle amministrazioni pubbliche che approvino norme anticoncorrenziali e l'avvio – con enorme ritardo – della creazione di un regolatore indipendente per i trasporti.

    In generale, resta il senso di un'occasione perduta, o non sfruttata adeguatamente. Le liberalizzazioni sono state finora frenate dal peso, elettorale e parlamentare, che le categorie interessate riuscivano a esercitare. Questo è un fenomeno perfettamente comprensibile e studiato: gli interessi concentrati che difendono le rendite tendono a organizzarsi in maniera più efficace degli interessi diffusi che, invece, beneficiano della maggiore competizione. Un governo tecnico e di “salvezza nazionale” si giustifica proprio in virtù della sua estraneità alle logiche politiche e, quindi, la minore sensibilità a questo tipo di pressioni. A giudicare dal banco di prova della manovra, la durezza tecnica pare ampiamente temperata dalle lusinghe del consenso parlamentare.