Il crollo dell'Olympus

The Tank

Appena in tempo. Olympus, il colosso giapponese specializzato nelle apparecchiature ottiche e fotografiche, ha scongiurato il delisting dalla Borsa di Tokyo consegnando oggi i risultati per il primo semestre del 2011, ma rischia ancora l'uscita dalle negoziazioni borsistiche. I conti rettificati consegnati alla Financial Services Agency (Fsa) e che si riferiscono ai bilanci dal 2006 a oggi, infatti, non promettono nulla di buono.

    Appena in tempo. Olympus, il colosso giapponese specializzato nelle apparecchiature ottiche e fotografiche, ha scongiurato il delisting dalla Borsa di Tokyo consegnando oggi i risultati per il primo semestre del 2011, ma rischia ancora l'uscita dalle negoziazioni borsistiche. I conti rettificati consegnati alla Financial Services Agency (Fsa) e che si riferiscono ai bilanci dal 2006 a oggi, infatti, non promettono nulla di buono. E nemmeno i report di medio termine: tra l'aprile e il settembre del 2011, Olympus ha registrato una perdita netta consolidata di 32,3 miliardi di yen (circa 430 milioni di dollari). Le sue vendite sono diminuite dello 0,7 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, mentre il suo utile operativo è sceso del 21,6 per cento. Il Tokyo Stock Exchange minaccia di iniziare un'indagine sulla compagnia perché gli illeciti sul bilancio, da soli, potrebbero essere sufficientemente gravi da giustificare comunque un delisting.

    Il presidente di Olympus,
    Shuichi Takayama, durante la conferenza stampa ha riconosciuto che Olympus sta affrontando “serie difficoltà finanziarie” e che dovrebbe considerare differenti opzioni per rafforzare il proprio capitale, non esclude “alcune forme di partnership industriali”.

    Takayama il 26 ottobre scorso ha preso il posto del settantenne Tsuyoshi Kikukawa, da più di dieci anni ai vertici della compagnia e dimissionario. Kikukawa, eminenza grigia della finanza giapponese, aveva costruito in più di un decennio un'immagine di sé attenta al sociale e alla solidarietà, immagine completamente diversa da quella intoccabile, austera e circondata da yes-men raccontata da Woodford.

    Tutto ha inizio il 10 febbraio 2011, quando Michael Woodford, cinquantenne inglese, viene nominato nuovo presidente del consiglio di amministrazione di Olympus. Qualche mese dopo diventa anche amministratore delegato. Ma il 14 ottobre 2011, dopo una riunione di dieci minuti, il cda della compagnia decide di licenziare Woodford – primo bianco a dirigere la multinazionale giapponese. Kikukawa dice che Woodford “non ha capito lo stile di gestione di Olympus e nemmeno la cultura giapponese”. Quello che in realtà non ha capito Woodford, e che continua a chiedere ai suoi manager, sono gli illeciti finanziari nel corso dell'acquisizione dell'azienda britannica Gyrus (ecco il pdf della lettera che Woodford scrive a Kikukawa).

    Non ricevendo risposte, Woodford indaga e scopre altre acquisizioni oltre i prezzi di mercato e consulenze finanziarie dai rimborsi esorbitanti. Fatto fuori, torna in Inghilterra, va al Financial Times e racconta tutto. Parla anche di connessioni con la Yakuza, la mafia giapponese, oggi però ufficialmente smentite. La stampa giapponese e quella americana si mettono a caccia del buco nero di Olympus. Il bubbone viene fuori, e Woodford collabora alle indagini dell'F.B.I. e della Serious Fraud Office inglese. Alla fine, seguendo i conti di società con sedi in paradisi fiscali e legati alla compagnia, arrivano a un miliardo e settecento milioni di perdite. Inutile la difesa di Kukukawa, che è costretto a lasciare la compagnia. L'8 novembre è Takayama a dover indire una conferenza stampa per spiegare una delle frodi più articolate della storia giapponese. Da ottobre in poi però gli investitori hanno cominciato a vendere massicciamente i titoli dell'azienda e hanno provocato il crollo del valore delle azioni di Olympus.