L'Agenda di Emma

Michele Arnese

Rigoristi per necessità, sviluppisti per convinzione. Gli industriali vivono in questa contraddizione, tipica anche di tutti i governi: non si può non condividere l'equilibrio dei conti pubblici, e quindi le manovre recessive, ma si è consapevoli che solo con la crescita si fa ripartire lo sviluppo e si rende sostenibile il debito pubblico. Però i toni apocalittici che, secondo il governo del Cav., connotavano parole e numeri di Confindustria, adesso lasciano spazio “all'ottimismo della ragione” al quale, testualmente, si ispira il centro studi della confederazione di Viale dell'Astronomia che ieri nell'ultimo scenario congiunturale ha aggiornato le previsioni.

    Rigoristi per necessità, sviluppisti per convinzione. Gli industriali vivono in questa contraddizione, tipica anche di tutti i governi: non si può non condividere l'equilibrio dei conti pubblici, e quindi le manovre recessive, ma si è consapevoli che solo con la crescita si fa ripartire lo sviluppo e si rende sostenibile il debito pubblico. Però i toni apocalittici che, secondo il governo del Cav., connotavano parole e numeri di Confindustria, adesso lasciano spazio “all'ottimismo della ragione” al quale, testualmente, si ispira il centro studi della confederazione di Viale dell'Astronomia che ieri nell'ultimo scenario congiunturale ha aggiornato le previsioni. I dati inducono al pessimismo: l'anno prossimo il pil si ridurrà dell'1,2 per cento, la pressione fiscale nel 2013 toccherà il primato del 54 per cento e a fine 2012 il tasso di disoccupazione raggiungerà il 9 per cento. Eppure, secondo il capo economista confindustriale Luca Paolazzi, per il combinato disposto di una serie di fattori (tenuta di Stati Uniti e Cina, stati disciplinati, sostegno della Bce alle banche) le stime si fondano “sul veloce superamento del delicato momento attuale, ritenendo che questo sia ancora l'esito più probabile”. Risultato: a partire dal terzo trimestre del 2012 il pil tornerà a variazioni positive. Si vedrà se c'è troppo ottimismo della ragione oppure no. Sta di fatto che le accuse recenti dei vertici di Confindustria sulla credibilità incrinata del precedente governo hanno lasciato spazio ad altri toni.

    Ora, dice la confederazione presieduta da Emma Marcegaglia, tutto dipende sì dalla “fiducia” e dalla “credibilità”, che però non sono “solo in noi”. Ovvero: i governi, i politici, non possono tutto. C'è anche l'Europa che deve fare la sua parte. Comunque la manovra di Mario Monti è apprezzata, specie “per l'allungamento della vita lavorativa” e per “i provvedimenti liberalizzatori”. Anche se, ha aggiunto Marcegaglia, pure questo governo ha ceduto alle pressioni dei corporativismi. Anche sulla parte sviluppista della manovra, rimarcata ieri dal ministro Corrado Passera presente al seminario del centro studi, Marcegaglia ha approvato ma ha anche incalzato: i 6 miliardi tra sgravi Irap per l'assunzione di giovani e donne, e detassazione degli utili reinvestiti, sono un buon inizio ma serve altro. Che cosa? Il rapporto confindustriale consiglia: “La sola rimozione delle carenze infrastrutturali porterebbe a un incremento del 12 per cento del pil nei prossimi dieci anni”. E le liberalizzazioni? Nel rapporto dedicato alle infrastrutture e alle reti si fanno cenni controversi. Ferrovie? “Il livello di liberalizzazione del settore è in fase avanzata”. Il trasporto aereo? “Può dirsi pienamente liberalizzato”. C'è poi il caso dei porti, dove invece gli industriali lamentano che “la pianificazione è assente da tempo”. Infatti “la competitività tra porti e la scarsa efficienza delle strutture e dei servizi hanno contribuito nel tempo a minare la forza del settore”. Più spazi di mercato sono invece invocati nei servizi pubblici locali e nel trasporto su gomma.

    Crescita, quindi, non solo rigore. C'è però un paese, l'Irlanda, in cui una politica economica dettata dalla troika Ue, Fmi e Bce ha sortito effetti positivi: quest'anno il pil è tornato a crescere (più 1,1 per cento), trainato da una buona dinamica dell'export e il deficit pubblico è stato ridotto a un terzo di quello del 2010. Ma il percorso irlandese è emulabile dal resto dell'area euro? Gli economisti di Confindustria tendono a rispondere di no. Consistente presenza di multinazionali attratte da un fisco che non tartassa e da un ambiente normativo non asfissiante “fanno dell'Irlanda un unicum tra i Piigs”. Ciò aumenta “le probabilità di successo nel caso irlandese della ricetta incentrata sulla deflazione”. Quindi “gli altri paesi in difficoltà nell'area dell'euro necessitano, invece, di riforme strutturali molto più ampie e consistenti, che richiedono un tempo maggiore per essere attuate e produrre effetti”.

    Ma chi può stimolare la domanda per rinvigorire la crescita? Per trainare la carrozza Italia serve che il locomotore Germania torni ad accelerare. Per questo anche in Confindustria il rigorismo imposto da Berlino non entusiasma troppo, anzi. Ma va detto lontano da microfoni e taccuini, come fa Paolazzi. “Luca, mi raccomando, non buttarci troppo giù con le tue previsioni”, dicono due esponenti confindustriali al capo economista che ieri mattina si apprestava a illustrare lo scenario congiunturale. Replica amichevole e informale di Paolazzi: “E' la Merkel che ci butta giù…”.