Tutte le crepe del boom turco
E' di qualche giorno fa la notizia che, inaspettatamente e sorprendentemente, l'economia turca è cresciuta nel terzo trimestre del 2011 dell' 8,2 per cento. A quanto pare, i proclami trionfanti di Erdogan e del suo ministro delle Finanze pronto a segnalare come “la Turchia abbia ancora una volta stupito tutti” nascondono più di una crepa. Troppo rapida, troppo forte, troppo pericolosamente simile a quel boom asiatico che negli anni Novanta mandò in crisi il sistema economico mondiale.
E' di qualche giorno fa la notizia che, inaspettatamente e sorprendentemente, l'economia turca è cresciuta nel terzo trimestre del 2011 dell' 8,2 per cento. A quanto pare, i proclami trionfanti di Erdogan e del suo ministro delle Finanze pronto a segnalare come “la Turchia abbia ancora una volta stupito tutti” nascondono più di una crepa. Troppo rapida, troppo forte, troppo pericolosamente simile a quel boom asiatico che negli anni Novanta mandò in crisi il sistema economico mondiale, sottolinea la Royal Bank of Scotland, notando che il deficit delle partite correnti rimane ancora il più alto al mondo dopo gli Stati Uniti.
Un disavanzo ampio significa che un paese è indebitato, che l'import è superiore all'export, e questo alla lunga non può che portare allo squilibrio dell'intero sistema. Lunedì scorso Goldman Sachs ha predetto l'inizio di una fase recessiva per la Turchia all'inizio del 2012, mentre il Financial Times nota che pure la domanda interna sta rallentando, facendo pensare che le ottimistiche stime di crescita diffuse dal governo turco per il prossimo anno (4 per cento), saranno in realtà smentite dai fatti. Il tallone d'Achille di Ankara è anche l'inflazione al 9,5 per cento, “e quando hai il 10 per cento di inflazione e il disavanzo delle partite correnti al 10 per cento del Pil non si può dire che tutto vada bene”, ha detto Murat Ucer, economista di Partners Global Source. Sotto la lente d'ingrandimento è finita anche la politica della Banca centrale di Ankara, specialista nell'adottare politiche che gli analisti occidentali definiscono “non prettamente ortodosse”, come quando lo scorso agosto tagliò improvvisamente il tasso di riferimento di 50 punti base, per portare il tasso effettivo di prestito al 12 per cento come promesso.
Un altro esempio della poca trasparenza e lungimiranza della Banca centrale turca lo si è avuto lo scorso ottobre, quando l'improvvisa scelta di seguire una politica monetaria più restrittiva ha spinto verso l'alto i tassi interbancari, limitando ulteriormente l'accesso al credito. Servirebbe un aumento della pressione fiscale, scrive il Financial Times, e oggi Erdogan è nella posizione ideale per compiere scelte impopolari che alla lunga, però, ridurranno l'instabilità finanziaria e garantiranno prosperità.
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