Calci paralleli
La dura lotta per guidare il centrosinistra
La lotta per la supremazia nel centrosinistra è sempre affare da uomini duri: non ammette debolezze, vieta distrazioni, richiede cattiveria. Nella politica come nel calcio. Una questione riservata a gente come Marchisio e Nocerino. Uniti dalla storia, accomunati dalle caratteristiche, inesorabilmente separati dagli obiettivi. Attuali e futuri. Perché i migliori centrocampisti oggi proposti dalla serie A paiono destinati a pestarsi i piedi.
Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi è il turno di Antonio Nocerino e Claudio Marchisio.
La lotta per la supremazia nel centrosinistra è sempre affare da uomini duri: non ammette debolezze, vieta distrazioni, richiede cattiveria. Nella politica come nel calcio. Una questione riservata a gente come Marchisio e Nocerino. Uniti dalla storia, accomunati dalle caratteristiche, inesorabilmente separati dagli obiettivi. Attuali e futuri. Perché i migliori centrocampisti oggi proposti dalla serie A paiono destinati a pestarsi i piedi. Sul campo, innanzitutto, dove risultano la compiuta espressione della mezz'ala sinistra. Gente che corre sempre, votata alla copertura come alla spinta: la difesa non può fare a meno di loro, l'attacco si meraviglia sempre di quanto siano preziosi. Con sei reti a testa, nessuno in Italia segna nel ruolo come loro due. E c'è il discorso delle prospettive, poi. Per nulla banali. Sono diventati leader naturali di Juventus e Milan, lo vogliono essere anche dell'Italia, dove Marchisio ha appena sfilato il posto a Thiago Motta e dove Nocerino vorrebbe tanto sfilarlo a Marchisio.
Due storie destinate a incrociarsi fin dalla comune radice bianconera. Nocerino arriva a Torino da Napoli nel 1998, quando ha tredici anni. Il suo è un iter classico: partenza in prestito ogni estate e, in quella successiva, ritorno alla Real Casa, che lo tiene ma non lo valorizza. L'occasione si manifesta nel 2007, in prima squadra con Ranieri. Non basta per convincere, Nocerino a fine stagione è ceduto definitivamente al Palermo. Come non aveva convinto appieno Marchisio malgrado Torino sia casa sua e la Juventus il cortile in cui giocare. Tredici anni di giovanili, poi Calciopoli che rivoluziona tutto: i bianconeri non hanno bisogno di mandarlo in B perché faccia esperienza, ci sono già finiti loro – per la prima volta – e se lo tengono. Ma anche per Marchisio si tratta sempre di una situazione sospesa. Non incrocia Nocerino perché nel 2007 va ad Empoli. Quando torna è considerato bravino ma uno dei tanti, per i dubbi sulla sua effettiva forza fisica e per le discussioni intorno al suo ruolo. Anche in tempi recenti, per l'appunto. Basta un'occhiata veloce ai campetti disegnati dai giornali quest'estate per vedere come Marchisio sia attore non protagonista. Al punto che il Milan torna a farsi sotto, pressante. Lo juventino è un pallino fisso di Allegri fin dall'approdo in rossonero: il tecnico lo considera, con ragione, la figurina giusta per completare il suo album.
Amore non ricambiato: Marchisio dice no, Galliani è costretto a cercare sempre altrove. Ed è una fortuna per tutti, perché il Milan prende Nocerino all'ultimo giorno di mercato con mezzo milione di euro: un affarone. Gli fa indossare la maglia numero 22 (non una qualunque: è quella lasciata da Kakà) e gli chiede di mettere a posto il centrosinistra, con Aquilani – altro “scarto” bianconero – a ben lavorare sul fronte opposto. Marchisio aspetta invece che Conte ridisegni la squadra e poi comincia a far capire chiaramente a tutti quanto serva uno con le sue qualità. Quelle di uno che ha l'8 tracciato sulla pelle, altra maglia mai banale per chi recita a memoria le formazioni della Juventus. E ben sa che cosa abbia significato Tardelli per le fortune bianconere.
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