Morti parallele

Annalena Benini

Non è una cosa che succede spesso, in questo giornale. Vicende che a un tratto semplificano i pensieri. Morti illustri che ci permettono di dire che bene è bene e male è male, senza paura di essere superficiali o conformisti, di non avere colto la furbizia narcisistica nel bene, o il chiaroscuro che riscatta e ribalta il racconto del male.

    Non è una cosa che succede spesso, in questo giornale. Vicende che a un tratto semplificano i pensieri. Morti illustri che ci permettono di dire che bene è bene e male è male, senza paura di essere superficiali o conformisti, di non avere colto la furbizia narcisistica nel bene, o il chiaroscuro che riscatta e ribalta il racconto del male. Per un giorno siamo contriti, ma rilassati, senza tormenti, certi di avere ragione, quasi fossimo al Teatro Valle occupato. E' morto Vaclav Havel, il presidente poeta e libertario, uomo senza difetti, ideologie, compiacimenti, civetterie, un artista che non ha mai smesso di fumare e che ha fatto nascere “Charta 77” da un concerto rock (i Plastic People of the Universe, la band fricchettona di Praga, capelli lunghi e sfrenatezze in cui Havel vide la libertà sotto l'attacco del sistema totalitario), ed è morto Kim Jong-il, il figlio orribile (con figlio orribile a sua volta, di età incerta e sguardo a palla), la raffigurazione del tiranno asiatico del Novecento, l'unità di misura delle tentazioni autocratiche, anche l'uomo con i giubbotti più brutti del mondo, i capelli radi cotonati all'insù e tinti di nero bluastro, il dittatore che ha fatto della Corea del nord il paese a più alto tasso di carestie, un posto dove si lanciano missili anche per commozione. Loro due, Havel e Kim Jong, erano il bello e il brutto, senza ombre: pare impossibile, troppo facile, banale, ma è così. Le occhiaie e le rughe di Vaclav Havel hanno scavato con grazia la sua bella faccia, rendendolo ancora più intenso, malinconico ma sempre allegro, un intellettuale eroico da birreria di strada e non da terrazza, mentre la salute incerta di Kim Jong l'ha trasformato in un elfo cattivo dalle fattezze di vecchia signora panciuta e arcigna: il semidio della tristezza, con la conduttrice televisiva più famosa vestita di nero, i verdi boschi sullo sfondo, che annuncia la morte del Caro Leader piangendo lacrime da teatro di serie C (i nordocoreani per strada battono i pugni e la testa per terra urlando e sembrano la parodia isterizzata della morte di un dittatore, con il lutto nazionale fino alla fine del mese e la preparazione dei nuovi ritratti azzurrati del successore).

    Vaclav Havel ha fatto sempre le cose giuste al momento giusto, con generosità e respiro lungo, Kim Jong-il quelle sbagliate, chiuse dentro gli occhiali spessi (compresa quella di non viaggiare, di non uscire mai da quei boschi e da quelle giacchette, da quel fondotinta, di usare per muoversi treni blindati, mentre Havel l'artista, Havel il coraggioso scriveva dal carcere alla moglie Olga che era contento perché “oggi ti ho sognato! Avevamo affittato un palazzo a Venezia! Sono ancora di buonumore” e le ordinava di non affliggersi: “Sii allegra e serena, vivi in maniera positiva e socievole, esegui coscienziosamente i compiti che ti sono stati affidati, non indignarti per cose che non lo meritano, pensami, incrocia le dita per me e cerca di mantenere buoni rapporti con tutti”). Kim Jong ha avuto quattro mogli, o forse una sola e qualche compagna, tutte cancellate, morte, accantonate (ultima la segretaria), e Vaclav Havel ha reso sua moglie Olga il personaggio nobile ed eterno di un romanzo fatto di lettere bellissime (le “Lettere a Olga”), l'ha pianta e ha rispettato un anno di lutto prima di risposarsi con la bella attrice bionda, senza atteggiarsi a pensatore, a modello, senza cedere alla tentazione mondana del culto (asiatico) della personalità. Gli piaceva la verità ma sapeva anche che non ce n'è una soltanto, non era così ingenuo (o così furbo). In questo sfortunato, mortifero 2011, Havel e Kim Jong-il sono la rappresentazione da fiaba, nel mondo spiegato ai bambini, del bene e del male.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.