Il delirio dell'elefante
Il grafico dei sondaggi sui candidati repubblicani è quasi più deprimente di quello sullo spread. All'inizio Gingrich era pressoché inesistente, Perry era fortissimo, Romney un passista dei sondaggi. Poi Gingrich ha preso ad esistere e in un paio di settimane è diventato il frontrunner, Perry s'è eclissato e Romney è rimasto un passista.
Il grafico dei sondaggi sui candidati repubblicani è quasi più deprimente di quello sullo spread. All'inizio Gingrich era pressoché inesistente, Perry era fortissimo, Romney un passista dei sondaggi. Poi Gingrich ha preso ad esistere e in un paio di settimane è diventato il frontrunner, Perry s'è eclissato e Romney è rimasto un passista. Poi Ron Paul, candidato pazzotico e già inesistente, è salito nell'indice di gradimento, tanto che qualcuno si chiede se non possa vincere in Iowa fra poche settimane. Infine, la bolla Gingrich s'è sgonfiata e l'ex speaker è tornato ai livelli del passista Romney.
Sulle fasce laterali Jeb Bush ha scritto una column sul Wall Street Journal a proposito del concetto paulryaniano del "right to rise" , vicenda che non segnala nulla di elettoralmente rilevante ma è un buono specchio della desolazione; Sarah Palin, ammesso che qualcuno si ricordi chi è, dice che non è troppo tardi per buttarsi nella mischia. Santorum, Bachmann e Huntsman giocano a fare i disturbatori. Gary Johnson sono mesi che è offeso a morte perché nessuno lo calcola. Donald Trump è sempre alla finestra e forse anche il suo parrucchiere sta pensando alla candidatura. In quel braccio di mare attraversato da correnti irrazionali che è oggi il partito repubblicano, la virtù mediana (e un po' mediocre) del passista Mitt Romney è la sola che sta ferma mentre tutto il resto gira.
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