Pacchetto di Natale

Monti prova a legare i partiti al governo. Poche resistenze

Salvatore Merlo

Le sue sono mosse avvolgenti e coordinate con Giorgio Napolitano. Mario Monti vorrebbe impacchettare nel suo governo, con lo spago della politica, i Berlusconi, gli Alfano e i Bersani; già avrebbe voluto portarli al governo, i segretari, ma adesso il professore ha capito che gli equilibri stanno cambiando e che il timore di estinguersi, di non sopravvivere all'esperienza tecnocratica, sia nel Pd sia nel Pdl, sempre più sopravanza la paura e l'imbarazzo della collaborazione.

    Le sue sono mosse avvolgenti e coordinate con Giorgio Napolitano. Mario Monti vorrebbe impacchettare nel suo governo, con lo spago della politica, i Berlusconi, gli Alfano e i Bersani; già avrebbe voluto portarli al governo, i segretari, ma adesso il professore ha capito che gli equilibri stanno cambiando e che il timore di estinguersi, di non sopravvivere all'esperienza tecnocratica, sia nel Pd sia nel Pdl, sempre più sopravanza la paura e l'imbarazzo della collaborazione.

    “Vorrei dire ai cittadini che l'appoggio che questo governo sta ricevendo è molto più grande di quello che i partiti lasciano credere o dichiarano”, ha detto il presidente del Consiglio dopo aver conquistato ieri in Senato la fiducia sulla manovra economica.
    Ha pranzato con Berlusconi, cenato con Bersani, bevuto il tè con Casini e oggi Monti scambierà gli auguri con Alfano: a tutti il professore ha chiesto le stesse cose, scoprendo i leader molto più interessati e disponibili di quanto non sia lecito pensare osservando il singolare atteggiamento con il quale il Pd e il Pdl votano compatti a favore dell'esecutivo, mascherando tuttavia il loro sostegno parlamentare con una sofferenza di facciata e mugugni inefficaci (le decine di ordini del giorno). “Altro che tecnico, Monti è un vero politico”, dice Enrico Morando, senatore del Pd, uno di quelli che spingono senza troppe incertezze a favore di una più esplicita politicizzazione della legislatura e forse, anche, uno di quelli – assieme a Enrico Letta, Walter Veltroni e Dario Franceschini – che hanno sofferto per le parole di Bersani contrarie al maggiore coordinamento con Pdl e Udc.

    “Bersani si è sentito in dovere di dirlo e di pronunciare anche una censura nei confronti del ministro Fornero sull'articolo 18”, dice Benedetto Della Vedova, capogruppo terzopolista della Camera. “Bersani e Alfano, ma anche Berlusconi, dovrebbero capire che se non prenderanno l'iniziativa, avviando le riforme e dunque negoziati tra le forze politiche, sarà l'iniziativa a prendere loro. Se la politica resterà ferma, nel dopo Monti questi partiti saranno fatti fuori. Non c'è dubbio”.

    Sia il rischio dell'estinzione, sia il paradosso di una maggioranza incapace di guardarsi allo specchio e riconoscersi come tale sono percepiti con allarme in diversi settori del Pdl e del Pd. “Credo sia giusto che senza ipocrisie i segretari si ritrovino e si incontrino tra loro”, dice Pierluigi Castagnetti. D'altra parte, in privato, Bersani rassicura Monti, telefona a Casini e ad Alfano (li incontra, com'è noto, anche nei tunnel bui che collegano il Senato con lo studio del premier), ma poi non stringe i lacci, arretra, si smentisce, recita il muso duro. Berlusconi ha un atteggiamento simmetrico a quello del segretario del Pd: promette sostegno, benedice tutte le trattative di Alfano e, rassicurato da Monti sul versante del fisco, sorride. Anche lui – come Bersani e come Massimo D'Alema – si augura di riuscire a riformare la legge elettorale e il sistema istituzionale.

    Ma poi cambia tono: “Siamo in campagna elettorale. Sono pronto alle elezioni”. Così diffonde ancora il progetto di ribattezzare il Pdl, spiega di volere un nome che contenga le parole “Italia” e “Libertà”, commissiona studi e sondaggi sull'appeal elettorale di una sua nuova invenzione politica, lo spiega persino a Umberto Bossi al telefono, gli illustra il marketing delle alleanze, e quando il leader della Lega maramaldeggia in pubblico facendogli qualche sberleffo (“Berlusconi ha paura, se ne sta lì come una pecorella”), il Cavaliere scrolla le spalle e strizza l'occhio: tanto siamo già d'accordo. Ma su cosa?

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.