Il vero golpe è quello delle femmine
Fu allora, quando giunse l'autunno in cui le donne presero il potere – il potere politico, il potere economico, il potere sociale: e senza sedere in Parlamento – che andò in frantumi anche l'antico e banale e stucchevole ammonimento che “una donna non si tocca nemmeno con un fiore”. Così, sulla prima pagina del manifesto un nerboruto operaio – vabbè, compagno operaio, ma pur sempre maschio di bellicose intenzioni – prende a schiaffi una donna. Anzi, a sculacciate: la tiene saldamente sulle ginocchia, gonna sollevata e culetto scoperto levato in aria, un po' Lolita e un po' lotta di classe, e giù manate sulle chiappe, “sciak! sciak”, mentre la poveretta lacrima copiosamente.
“In politica, se vuoi che qualcosa venga detto, chiedilo a un uomo; se vuoi che qualcosa venga fatto, chiedilo a una donna” (Margaret Thatcher)
Fu allora, quando giunse l'autunno in cui le donne presero il potere – il potere politico, il potere economico, il potere sociale: e senza sedere in Parlamento – che andò in frantumi anche l'antico e banale e stucchevole ammonimento che “una donna non si tocca nemmeno con un fiore”. Così, sulla prima pagina del manifesto un nerboruto operaio – vabbè, compagno operaio, ma pur sempre maschio di bellicose intenzioni – prende a schiaffi una donna. Anzi, a sculacciate: la tiene saldamente sulle ginocchia, gonna sollevata e culetto scoperto levato in aria, un po' Lolita e un po' lotta di classe, e giù manate sulle chiappe, “sciak! sciak”, mentre la poveretta lacrima copiosamente. “Facciamola piangere”, il titolo. E' una vignetta di Vauro, e la signora sottoposta al brutale trattamento risulta essere Elsa Fornero, ministro del Lavoro. L'operaio cala brutalmente il palmo e intanto urla alla poveretta: “Quante volte te lo devo dire? L'articolo 18 non si tocca!”. Ecco: la vignetta del manifesto, meglio di qualunque altra cronaca politica di queste ultime settimane, spiega l'incredibile evento che si è verificato, nella quasi generale distrazione: la presa del potere da parte delle donne – potere vero, potere che decide, potere che muta equilibri e rapporti di forza, così che paradossalmente sulla prima pagina di un quotidiano che dei diritti delle donne ha sempre fatto bandiera e benemerita polemica, non con un fiore viene toccata, ma a sculacciate viene presa. Una vignetta, certo – è il ministro che si becca il manesco castigo di classe, mica la raffinata signora Elsa, ma pur sempre una vignetta che segnala l'avvenuto mutamento. “Se non le donne chi?”, si domandavano quelle scese in piazza pochi giorni fa. Le donne, appunto.
“Hai visto?”. Vedo. “Camperos…”. Scarpa da battaglia… “Scarpa a tacco basso, più che altro”. La parlamentare di centrodestra – dagli insospettabili dopocena: causa età (al più la si poteva presentare come la figlia di Mubarak) e solida militanza in ambito destrorso – indica con lo sguardo la radiosa collega di più evidente caratura berlusconiana, che s'inoltra nel Transatlantico, e fa calare lo sguardo sulle estremità ultime. “Da un mese, qui dentro sono spariti i tacchi dodici”. Quel ritmico dondolio che accompagnava l'avanzata delle più giovani e procaci parlamentari – tra lo sguardo ammirato dei colleghi, quello perplesso delle colleghe, quello contemplativo di cronisti e commessi – è scomparso dall'orizzonte. Ora che le donne hanno preso il potere, la femmina a conformazione berlusconiana, che per oltre un lustro ha dominato immaginario e cronache, s'avvia verso l'estinzione (o un discreto velamento). Il tacco che s'impennava ora risulta annientato dalle calzature della simpaticissima Cancellieri – ministra di sbirri con l'aria di chi sa mettere in riga anche il commissario Basettoni: ripetutamente fotografate, il tacco hanno del tutto assente, la forma è quella tondeggiante che rassicura la schiena piuttosto che allupare il maschio, “scarpette austerity e dimagranti”. E se cala il tacco – con il procedimento esattamente contrario a quello adottato da Nicole Kidman quando lasciò il fascinoso e brevilineo Tom Cruise: “Finalmente posso rimettere i tacchi alti!” – muta pure l'abito. Il tubino nero d'ordinanza arcoriana ha da finire nello sprofondo dell'armadio – i vestiti della Cancellieri, che qualcuno ha voluto vedere come “gozzaniani” (vestiti gozzaniani?) dettano la linea. Tre file di perle. Una nel caso della Fornero. Le donne al potere – e del potere del maschio svuotano sostanza e apparenza.
C'è stato gran spreco dell'appellativo di “lady di ferro” per ognuna di loro. Cancellieri Anna Maria? “Lady di ferro” del Viminale, si capisce. E pare ben meritato: quando arrivò nel palazzo della massima sbirreria la Iervolino, una delle prime cose che disse fu che sarebbe stata un po' mamma per i suoi poliziotti in divisa. Ora, di mamma ce n'è una sola, e pure il vice-sovrintendente sa che di solito basta e avanza, così che la Cancellieri (che ha una decisa somiglianza con la Margaret Rutherford che interpretava la pettegola e intelligente Miss Marple: in guardia, ai ferri corti con il delitto!) si è fatta precedere da un sonoro: “Io l'8 marzo lo abolirei, la donna non deve sentirsi razza a parte, perché siamo molto meglio degli uomini”. E “lady di ferro”, va da sé, si è subito qualificata Elsa Fornero – pur se le giustificatissime lacrime sui patimenti pensionistici ne hanno ammorbidito la consistenza (“la piagnona”, la chiamano i maschietti, che pure si sono quasi sempre ben guardati dal fare scelte che facessero lacrimare loro oltre che gli altri), e la vigorosa retromarcia sull'articolo 18 – matti! matti! qui so' tutti matti, urlava Bersani, che pareva Paolo Panelli, sotto le sue finestre. E Monti, cronometrista cauto, “Elsa ha corso troppo”, ne ha decisamente scalfito l'aplomb thatcheriano: un altro inciampo del genere e diventa l'ospite ideale per una puntata della trasmissione di Gad Lerner, “L'infedele” – ovvero, del televisivo filosofare. E comunque, alla signora Fornero (che con aperta simpatia certi cronisti parlamentari hanno ribattezzato Piperita Patty, come quella dei “Peanuts”) la telecamera certo non dispiace. L'altra sera, era una soddisfazione osservarla a “Porta a Porta”, tra la Bindi e Bonanni – il cui zio artefice della Finanziaria montiana, da lui evocato, è il nuovo must che ha sostituito la ormai mediaticamente usurata nipote di Mubarak. E poi, e di nuovo alla “lady di ferro” siamo, c'è Paola Severino, ministro della Giustizia, che ha messo mano al provvedimento che consente ai detenuti di scontare agli arresti domiciliari gli ultimi diciotto mesi di condanna. E se la Fornero è sculacciata nella vignetta di Vauro, alla Severino tocca – onore e vanto, decisivo accreditamento – un bell'editoriale di forte attacco e di risaputa ricapitolazione del mondo di Marco Travaglio sul Fatto: “Severino, sia severa” – travaglianamente figurando la stessa come “una delle più loquaci” tra i ministri di nuovo conio. Ci sono poi due altre donne di grande potere, a voler tenere esatta contabilità, in questa stagione politica dove stentatamente si tengono su le braghe maschili: Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria e Susanna Camusso, la leader della Cgil – le due donne che decideranno quanto saranno affollate le piazze nei prossimi mesi.
“Tre donne hanno nelle proprie mani una delle questioni più calde della politica italiana, la riforma del mercato del lavoro e la riforma dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori: la ministra del Welfare, la presidente di Confindustria, la segretaria generale del massimo sindacato italiano. Per la cultura e pratica politica italiana è certo una rottura radicale, innanzi tutto sul piano simbolico. Non siamo abituati a vedere fisicamente donne monopolizzare lo spazio visivo e comunicativo di processi decisionali importanti giocando tutte le parti disponibili. Ciò è sicuramente un bene in sé, perché rompe il monopolio maschile sui ruoli decisionali che contano” (Chiara Saraceno, la Repubblica, 20 dicembre 2011).
“Le donne sono così. C'è da registrare ora un cambiamento estetico della politica. Finora era il dato estetico a comandare. Le facce di queste nuove ministre lo hanno demolito. Perché le donne sono così, anche più coraggiose di come pensavano”, ragiona Flavia Perina, ex direttrice del Secolo d'Italia, finiana. Dicono che questa nuova stagione, di sobrietà e di donne col filo di perle o l'orologio di plastica al polso (come la Camusso) abbia prodotto un altro effetto: la scomparsa dei retroscena nelle cronache politiche. Ovvero, dei retroscena di qualche sostanza. Residuati della stagione passata che si azzannano tra di loro ce ne sono – ma niente che possa impensierire nemmeno l'ultimo sottosegretario delle tre “lady di ferro” montiane. “E comunque da almeno un anno e mezzo – confida Flavia Perina – non c'era retroscena politico, qui in Parlamento, piuttosto gossip”. In Aula si vota, l'onorevole Lupi gira con una copia sottobraccio del suo libro, ci si scambia le mete di Natale, “io in Madagascar”, “io a Cancun”, “ci sono stato l'anno scorso”, l'ex ministro Meloni gira anch'essa con degli stivaletti di rara discrezione – votata la manovra di Monti, un assonnato fluire, un transitare annoiato tra Aula e corridoi (in uno laterale adesso consentono nuovamente di fumare: sarà roba da privilegio di casta?), una certa sensazione che la politica (la gestione vera del potere) stia scivolando altrove. “Ma guarda che le donne non solo hanno preso il potere, ma anche quelle che lo hanno perso mostrano più coraggio degli uomini sconfitti. Facci caso: nelle trasmissioni televisive, a reggere la botta, per il pidielle, ci sono quasi solo donne, dalla Gelmini alla Mussolini”. Come un carillon con poca carica, svagatamente e con lentezza s'avvia Montecitorio verso la chiusura natalizia. Qualche ex sottosegretario va a mendicare saldi anticipati da Cenci, unico momento di mobilitazione – ogni frammento democristiano sussulta e si precipita – la messa con il cardinale Bagnasco. Tutto qui è un lento incamminarsi nell'incertezza, un alito di disperato attaccamento a un'instabile futuro – e il vitalizio, e la pensione, e la dignitosa (insomma, dignitosa: non troppo rovinosa) uscita di scena. Anche perché, di tutte le donne che hanno ora il potere tra le mani, non una è parlamentare.
Come assistere alla rappresentazione, ma al contrario, delle “Donne al parlamento” di Aristofane – la scaltra Prassagora e le sue amiche che si travestono da uomini e conquistano l'assemblea ateniese: “Io sì. Ho le ascelle che paiono cespugli, come s'era detto. Ogni volta che mio marito usciva, mi sono unta per tutto il corpo e sono rimasta l'intera giornata a cuocermi al sole”. “Anch'io. Ho gettato via il rasoio, in modo da diventare tutta pelosa e non somigliare più neanche da lontano a una donna”. “E avete anche le barbe che avevamo deciso di metterci tutte quante nella prossima riunione”. Alle donne che hanno preso il potere, tali mezzucci non sono serviti. Perché, sostanzialmente, il maschio era già in fuga da sé. E soprattutto, perché il potere vero (e nessuno come loro lo ha intuito) si è ormai trasferito fuori da questo Palazzo. Prassagora e le simpaticissime golpiste ateniesi, tendenzialmente delle camussiane spinte, intendevano deliberare su un fronte, diciamo così, di estrema sinistra. “E' necessario che tutti abbiano tutto in comune e da ciò traggano i propri mezzi di sostentamento; non più che uno sia ricco e un altro miserabile, che uno abbia molta terra da coltivare e un altro neppure quella per esservi sepolto; che uno abbia molti schiavi e un altro neanche uno. Tutti i mezzi di vita devono essere in comune e uguali per tutti”. “Ma come è possibile che siano in comune per tutti?”. “Già, tu devi venire prima, anche se si tratta di mangiare merda”. “Anche la merda avremo in comune?”. Ogni argomento fu saggiamente trattato dalle donne ateniesi, dopo il golpe con barbe finte e ascelle cespugliose. Compreso il diritto delle femmine brutte ad avere anche loro un amante. Dialogo di Prassagora con un maschio dubbioso: “Mettiamo che uno si prenda una cotta per una ragazza e voglia scoparsela; per farle un regalo dovrà attingere al patrimonio di tutti, ed ecco il suo comunismo!”. “Potrà andarci a letto gratis: anche le donne verranno messe in comune: staranno con chi le vuole e faranno figli con chi le vuole”. “Ma allora succederà che tutti andranno dalla più bella e vorranno farsela”. “Accanto alle belle staranno le brutte e rincagnate; chi vuole la bella dovrà prima farsi la brutta”. “Già: ma noi vecchi, se facciamo l'amore con le brutte, l'uccello non ci pianterà in asso prima di arrivare al punto che tu dici?”. Uguale determinazione – insieme stessa volontà di liberalizzazione da una parte, di utopistico socialismo dall'altro: come ora, come tra le stesse donne del neo potere italico – e, va detto, stessa intelligenza. Ma il Parlamento poco conta: non sordo ma piuttosto ciarliero sempre, un po' grigio comunque, discussioni e decisioni di tale portata si svolgono altrove – l'orecchio del popolo non sente, ma tanto l'orecchio del popolo è distratto. E altrove, mentre prendevano il potere, le donne stavano.
Certo che da subito hanno sentito il fiato del maschio accantonato, sul loro collo. Le cronache sottilmente maligne rilanciano sulle lacrime di una, sull'indeterminatezza dell'altra, sulla leader sindacale che non tiene il passo con il maschio precedente, sulla ministra a troppa pendenza berlusconiana. Ma son più difficili da beccare delle floride e in fondo ingenue fanciulle degli anni precedenti – ci vuole più fatica per marciare nei presenti giorni televisivi su un modesto tacchetto che su un basamento di dodici centimetri. “Pink Power” lo ha ribattezzato il sito del “Futurista” – ed è un potere che potrebbe forse durare. Di stampo, e d'impatto visivo, più decisamente thatcheriano, volendo nildeiottiano, ovviamente un pizzico emmaboniniano, e se qualcuno ha memoria della Prima Repubblica, persino tinanselmiano. Le bestemmie sulle racchie che dovrebbero restare a casa – mesto rigurgito, quando su tutto il resto l'ombra finale già calava – sono evaporate e, nel precipitoso defluire di un'intera stagione, alle belle e bone è toccata la parte di chi abbandona la scena. E' stata una presa del potere sorprendente: eccoci qui! E cominci a contare – una donna, due, tre, e capaci di far filare dritti diversi uomini. Non più la simpatica e ingenua Jessica Rabbit (così dagli altri disegnata – pur se con il suo felice concorso disegnata: diversa intelligenza e diversa esigenza), ma ministre e presidenti e leader sindacali che hanno ben presente la lezione di una vera donna di potere come Elisabetta Tudor: “Una sola signora, e nessun signore”.
Or che un brandello di potere è stato preso – e che certo non può essere né maoisticamente difeso con la canna del fucile né sconsideratamente rinsaldato da vertiginosi stacchi di coscia: tanto la sobrietà vigente quanto la crisi operante impongono scelte diverse – le donne hanno a disposizione un'utilissima guida per ben gestirlo e ben mantenerlo. E' il libretto-conversazione di Franca Valeri e Luciana Littizzetto, “L'educazione delle fanciulle” (Einaudi), che felicemente si può inglobare anche nell'educazione della donna (intelligente) di potere. In quelle poche pagine c'è tutto per non sbagliare (quasi) niente. A cominciare da questa annotazione della Valeri: “Le ragazze (e figurarsi le ministre, ndr) si educano da sole. L'autoeducazione femminile è una delle poche novità del secolo. Il Ventunesimo”. E i versi, citati alla fine della conversazione, del mozartiano “Così fan tutte”, che tutto già mettevano in chiaro: “Una donna a quindici anni / dèe saper ogni gran moda, / dove il diavolo ha la coda, / cosa è bene e mal cos'è”. Ecco: la coda del diavolo (maschio, sempre) – soprattutto quella non va mai persa di vista.
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