Un Natale difficile

Maurizio Stefanini

Quello del 2010 fu un Natale particolarmente insanguinato. Nelle Filippine un commando in bicicletta del gruppo integralista islamico Abu Sayyaf lanciando una bomba sul tetto della cappella della caserma della polizia di Jolo, nella Regione Autonoma del Mindanao musulmano, provocò 11 feriti proprio mentre veniva celebrata la Messa natalizia.

    Quello del 2010 fu un Natale particolarmente insanguinato. Nelle Filippine un commando in bicicletta, affiliato al gruppo integralista islamico Abu Sayyaf, lanciando una bomba sul tetto della cappella della caserma della polizia di Jolo, nella Regione autonoma del Mindanao musulmano, provocò undici feriti proprio mentre veniva celebrata la Messa natalizia. In Nigeria, alla vigilia di Natale, l'assalto a due chiese cristiane provocò sei morti. Tra le vittime c'era anche un pastore battista. L'atto terroristico fu seguito da una serie di attentati contro obiettivi cristiani nei pressi di Jos, capoluogo dello stato del Plateau, che furono attribuiti al gruppo jihadista Boko Haram e che costrinsero l'arcivescovo a celebrare il Natale da solo.

    In Iraq, nonostante la strage con oltre cinquanta vittime del 31 ottobre alla Cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso di Baghdad e la dichiarazione di al Qaida che tutti i cristiani erano “obiettivi legittimi”, il Natale passò tranquillo. Il 30 dicembre però quattordici bombe furono collocate davanti a altrettante abitazioni di cristiani di Bagdad, provocando due morti e sedici feriti. E in Egitto il primo gennaio 2011 una bomba esplose davanti alla chiesa dei Santi di Alessandria, provocando ventuno morti e 79 feriti tra i fedeli copti all'uscita da una funzione religiosa per il Nuovo anno.

    Egitto, Iraq, Nigeria e Filippine sono paesi dove col Natale scatta la massima allerta delle forze dell'ordine. Ed è allarme pure in Indonesia, dove a Giava Ovest sono arrivate minacce contro le celebrazioni natalizie delle comunità cattoliche. Ma non ci sono solo i paesi dove il Natale è reso difficile dai terroristi. In Laos, uno degli ultimi cinque paesi ufficialmente comunisti del mondo, otto cristiani sono stati appena messi in prigione per aver organizzato nel villaggio di Boukham, provincia di Savannakhet, una celebrazione in vista del Natale cui hanno preso parte oltre duecento fedeli. Il bello è che gli otto avevano avuto l'autorizzazione a celebrare la funzione da parte del capovillaggio, ma durante la celebrazione le forze di sicurezza hanno fatto irruzione e li hanno ammanettati. Il 18 dicembre la chiesa evangelica del Laos avrebbe negoziato il rilascio di uno di loro in cambio di una cauzione che corrisponde al triplo di un salario medio.

    Cuba, altro paese comunista, non proibisce formalmente il Natale. Ma dagli anni Sessanta lo ha proclamato giorno lavorativo come gli altri: si era reintrodotta la celebrazione all'epoca della visita di Giovanni Paolo II; ma poi è stata di nuovo tolta come rappresaglia per quello che era stato considerato lo “scarso impegno” della chiesa cubana sul caso Elián. Elián era il bambino portato in America da una zattera su cui tutti gli abitanti, compresa sua madre, erano morti, e di cui il padre aveva ottenuto il rimpatrio spinto dal governo cubano. A differenza della Cina il divieto di affiliazione al partito per i credenti è stato rimosso, ma farsi vedere a preparare l'albero di Natale o il presepe continua a essere un gesto non proprio propizio a favorire la carriera, in un paese dove malgrado le recenti aperture all'iniziativa privata la gran parte degli impieghi continuano a essere in mano allo stato.

    Quanto alla Corea del Nord, non sopporta gli alberi di Natale neanche al confine. L'11 dicembre il regime di Pyongyang ha definito un basso tentativo di "guerra psicologica" che avrebbe avuto "pesanti conseguenze" l'annuncio della Corea del Sud di posizionare tre torri metalliche a forma di albero di Natale in prossimità della linea di demarcazione. Dopo la morte di Kim Jong-il Seoul ha deciso di soprassedere per non aggravare ulteriormente la tensione. Più libertà di celebrare il Natale sembra esserci in Vietnam, malgrado questa estate le autorità comuniste abbiano arrestato vari fedeli che protestavano contro le espropriazioni ai danni di una parrocchia cattolica. Tradizionalmente, a Natale la chiesa cattolica vietnamita organizza attività per i più poveri e manifestazioni in strada.

    Non solo i governi comunisti sono però repressivi verso il Natale. In carcere, per esempio, passerà il Natale Asia Bibi: la cristiana pakistana condannata a morte per blasfemia e tuttora in attesa dell'appello presso l'alta corte di Lahore. E' assolutamente vietata ogni manifestazione pubblica di festeggiamento del Natale in Arabia Saudita, anche se in linea di principio si può celebrare stando ben chiusi in casa, in modo che fuori non trapelino né suoni e né immagini. E' pure permesso festeggiare nelle ambasciate, mostrando col passaporto che si è cittadini di quel paese.