Ecco quello che fa, pensa e scrive un Tremonti un po' isolato

Michele Arnese

“Non ho alcun progetto politico. Sono qui a casa, ingessato. Leggo e scrivo soltanto”. Così Giulio Tremonti rispondeva, il pomeriggio del 24 dicembre, a chi gli chiedeva delle sue prossime mosse politiche. Seppure ingessato a un piede per una frattura, e senza alcun progetto politico in gestazione, l'ex ministro dell'Economia qualche ora prima era andato in via Bellerio a Milano, sede della Lega (il gesso in verità se l'era già tolto, dicono testimoni oculari).

    “Non ho alcun progetto politico. Sono qui a casa, ingessato. Leggo e scrivo soltanto”. Così Giulio Tremonti rispondeva, il pomeriggio del 24 dicembre, a chi gli chiedeva delle sue prossime mosse politiche. Seppure ingessato a un piede per una frattura, e senza alcun progetto politico in gestazione, l'ex ministro dell'Economia qualche ora prima era andato in via Bellerio a Milano, sede della Lega (il gesso in verità se l'era già tolto, dicono testimoni oculari). Il leader del Carroccio, Umberto Bossi, cerca di annetterlo ai lumbard, suscitando i malumori di personalità leghiste di spicco tra cui l'ex ministro dell'Interno, Roberto Maroni. Ma in verità anche esponenti ritenuti dagli osservatori come filo tremontiani, ad esempio l'ex ministro della Semplificazione normativa, Roberto Calderoli, non sono entusiasti della sua eventuale confluenza nella Lega. Il meno oltranzista è l'ex viceministro delle Infrastrutture, Roberto Castelli. Anche nel Pdl si fa fatica a rintracciare qualche sicuro estimatore di Tremonti, quasi immolato come capro espiatorio dell'esecutivo Berlusconi. Le interpretazioni della fine del governo del Cav. sono opposte. Gran parte del Pdl ritiene che la flemma rigorista e la personalità urticante dell'ex ministro abbiano nuociuto all'esecutivo in maniera determinante, contribuendo a provocare la consunzione, visto che nonostante la sua vantata credibilità europea il governo del Cav. è stato frantumato a colpi di spread. Tremonti, in un'intervista con Lucia Annunziata a “In mezz'ora” (Rai Tre), ha invece indicato, senza citarli, in chi vagheggiava di frustate all'economia e di politiche espansive – ossia Berlusconi e Renato Brunetta – una delle cause dei messaggi ondivaghi e lassisti che hanno fatto calare la credibilità internazionale del governo di centrodestra.
    Nel Pdl neppure il suo ex fido Marco Milanese, per anni braccio destro e consigliere politico, può essere considerato più tremontiano: lo stesso ministro ha notato la presenza di Milanese, ripresa dalle televisioni, a un recente convegno organizzato dagli ex socialisti del Pdl come Brunetta e Fabrizio Cicchitto.

    Si sono defilati pure alcuni esterni di rilievo al circuito politico che hanno seguito per anni, o almeno non osteggiato, il percorso intellettuale e politico di Tremonti. L'economista Marco Fortis, sia sul Sole 24 Ore sia sul Messaggero, ha rilevato una scarsa attenzione alla crescita nell'opera dell'ex ministro: non era una critica, ma una constatazione. E l'economista e esponente del Terzo polo, Mario Baldassarri, da anni critico con le parole e le opere tremontiane, ha notato qualche settimana fa, in un'occasione pubblica, che al suo j'accuse contro il professore di Sondrio il presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, annuiva con particolare entusiasmo. Eppure, come ha scritto più volte Mario Monti da editorialista del Corriere della Sera, l'azione sulla crescita doveva promanare più dalla presidenza del Consiglio che dal ministero dell'Economia; salvando così in parte l'azione rigorista del Tesoro. E' questo uno dei temi che saranno descritti e analizzati nel libro che Tremonti sta ultimando e che uscirà a fine gennaio? C'è chi assicura di sì.
    I fatti, secondo la visione dell'ex ministro, gli stanno dando ragione. Da ministro, Tremonti non si stancava di ripetere che l'Italia ha il secondo debito pubblico del mondo, pur non essendo l'Italia la seconda potenziale mondiale. Quindi con il dilatarsi del rischio sui debiti sovrani era inevitabile che il nostro paese sarebbe stato quello più funestato dai marosi dei mercati. Ma i compiti a casa l'Italia, seppure con più di una diffidenza verso l'impostazione teutonica inflessibile, li ha sempre svolti. Esempio: il vincolo del pareggio di bilancio in Costituzione non ha mai entusiasmato Tremonti (l'Italia si trova il moloch del debito pubblico nonostante l'articolo 81 della Costituzione), però l'Italia fin da subito ha intrapreso la strada indicata e consigliata dall'Europa.

    Ma è stata l'Europa a non dotarsi di politiche e strumenti per contrastare da un lato l'accanirsi degli investitori contro i debiti sovrani e dall'altro per agevolare emissioni comuni, e non più solo nazionali, dei titoli pubblici. Come dire: i ritardi su avvio e risorse del Fondo salva stati (Efsf) hanno provocato la mancanza di un indispensabile garante di ultima istanza dei titoli sovrani. Ma la madre di tutti gli errori, che ha avuto effetti a cascata sui mercati, è stata la dichiarazione sul debito greco di Angela Merkel secondo cui i privati dovevano accollarsi eventuali perdite in caso di insolvenza di titoli pubblici. Un messaggio di atarassia europea sui debiti sovrani che ha acuito il panico degli investitori e il progressivo esodo degli stessi dall'area dell'euro.
    A delineare le défaillance europee – con un'impostazione non distante da quella tremontiana – è stato sabato scorso il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, in un'intervista al Sole 24 Ore: “L'errore non è stato far pagare i privati, ma averlo deciso in corsa: i contratti sottoscritti si rispettano, non si modificano – ha detto Visco – Di fronte al rischio-contagio poi si trattava di sviluppare una sequenza di risposta a tre gradi: il primo era quello della messa a punto di strumenti adatti a fronteggiare la crisi (Efsf, Esm); il secondo era il prestito alla Grecia; il terzo la messa in sicurezza delle banche europee. Questa sequenza, purtroppo, non è stata rispettata”.

    Nel libro di Tremonti, con tutta probabilità, non mancherà una suggestione come quella espressa dall'ex ministro nello scorso settembre a Cernobbio, e che racchiude il suo pensiero sull'Unione europea e sul ruolo pro crescita della domanda pubblica. Pensiero ben distante da quello dello stesso autore dello “Stato criminogeno” (1998). Tremonti a settembre ragionava sull'Europa, citando quattro luoghi simbolo: Waterloo, Westfalia, Deauville e Versailles. Il tutto per dire che “gli elementi di nazionalismo restano ma solo nei bilanci pubblici” e che in Europa emergono “elementi di ottusità” che vanno combattuti. Ottusità tedesca, compresero gli interlocutori. In sostanza, “è necessario ragionare a livello di continente”, ed è “fondamentale chiederci che tipo di modello adottare”. Il modello basato sui beni di consumo o sull'export non basta, occorre un modello che “consideri anche la domanda pubblica. Manca un driver per lo sviluppo economico”. “Ci hanno detto: dovete liberalizzare”, disse l'allora ministro evocando ma non citando la lettera firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi i primi d'agosto. “D'accordo – aggiunse Tremonti – ma io vedo grandi economie anglosassoni, tradizionalmente liberali, che si sono piantate. L'economia tedesca è molto più sostenuta dal pubblico di quanto non si creda, ma non è efficace. Bisogna cominciare a immaginare un modello sostenuto da grandi interventi pubblici. Questo vuol dire Eurobond”. Ossia mettere in comune i debiti statali per finanziare anche in comune, se possibile, reti e infrastrutture sotto forma di project bond.

    Il lancio del prossimo libro coinciderà, ora che Tremonti non ha impegni ministeriali ed è ai margini della politica, con un maggiore ricorso a una fondazione che lo vede alla presidenza del comitato scientifico, dopo che egli stesso ha contribuito a istituirla. La Fondazione ResPublica, presieduta da Eugenio Belloni e diretta da Stefano Riela, sarà il luogo di approfondimento e di dibattito delle analisi e delle tesi contenute nel saggio. ResPublica è partner di European Ideas Network, la rete delle fondazioni e think tank sostenuta dal gruppo del Partito popolare europeo (Ppe) del Parlamento europeo, e partecipa alle attività del Centre for European Studies (Ces). Fra le 18 fondazioni collegate spicca la Konrad Adenauer Stiftung, vicina alla Cdu di Merkel, e diretta da Hans-Gert Pöttering. In ResPublica ci sono due figure decisive per il passato, il presente e fors'anche il futuro di Tremonti: Enrico Vitali e Angelo Maria Petroni. Con il commercialista Vitali, i rapporti sono tornati a intensificarsi dopo l'uscita dal ministero dell'Economia, dice chi li conosce entrambi. Con il professore e saggista Petroni, tra l'altro consigliere di amministrazione della Rai indicato dal Tesoro, le frequentazioni se possibile si rinsalderanno. Petroni, segretario generale dell'Aspen Institute Italia, proprio in questi giorni sta svolgendo le funzioni finora appannaggio di Giovanna Launo, direttore generale per le attività italiane del pensatoio che si è dimessa pochi giorni fa. Non è l'unica uscita di peso registrata in casa Aspen: il direttore generale per le attività internazionali, Marta Dassù, è diventata sottosegretario al ministero degli Affari esteri. Dassù, al momento, non sarà rimpiazzata, dicono alcune fonti dell'Aspen. Non dovrebbe essere rimpiazzato, secondo la ricostruzione del Foglio, neppure Tremonti, il cui mandato come presidente del think tank scade nelle prossime settimane. A meno che non emerga a sorpresa un candidato che gli sbarri la strada.