Fassina riscrive i compiti di Monti

Marianna Rizzini

“Questo non è il nostro programma”, dice all'Unità Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd, quarantaquattrenne uomo di partito e non di Parlamento (non è deputato) che non ha mai nascosto di desiderare altro: preferiva andare al voto, e oggi non condivide l'impianto di una manovra economica impossibile da digerire per un implacabile laburista non blairiano come lui, convinto che la Germania conservatrice stia “imponendo” all'area euro una “politica economica suicida”.

    “Questo non è il nostro programma”, dice all'Unità Stefano Fassina, responsabile Economia del Pd, quarantaquattrenne uomo di partito e non di Parlamento (non è deputato) che non ha mai nascosto di desiderare altro: preferiva andare al voto, e oggi non condivide l'impianto di una manovra economica impossibile da digerire per un implacabile laburista non blairiano come lui, convinto che la Germania conservatrice stia “imponendo” all'area euro una “politica economica suicida”. E se non arriva a sconfessare il sì a Monti – “è evidente che siamo impegnati perché abbia successo” – ne circoscrive la linea in chiave europea (è “un'opportunità” per modificare una rotta tedesca “da naufragio”, dice). Questo non è il mio programma, potrebbe anche dire Stefano Fassina, tanto solitaria si leva la sua voce in un Pd congelato tra l'appoggio a Monti e la piazza da placare – Fassina invece in piazza ci vuole andare e lo ripete con sguardo duro, intenso e senza sorriso, quello delle foto pensierose a tutta pagina sull'Unità, mano sotto al mento e fronte corrugata.

    Bersaniano privo di giaguari e maniche arrotolate, più bersaniano del Bersani che in estate preferiva votare e poi però vedi com'è andata, Fassina si presenta a radio e tv con voce disponibile e volto impassibile – una fissità quasi dalemiana, non fosse che a Fassina manca del tutto l'espressione cinica di Massimo D'Alema. Vuole manifestare, Fassina, come voleva andare alle elezioni per non finire sotto commissariamento dello spread, e da alleato senza complessi del sindacato non mostra turbamento quando Beppe Fioroni dice “non possiamo votare sì e poi andare in piazza”: “Il Pd deve stare nella società”, dice Fassina, “parlare con i lavoratori, le lavoratrici, gli studenti, i pensionati, non per tentare una ridicola doppiezza ma per spiegare il delicatissimo passaggio di fase ed esplicitare il nostro profilo strategico rispetto a scelte programmatiche contingenti”. Fassina, d'altronde, è lontano dai liberal che piangono lacrime con (e per) Monti, e non ha cambiato tono da quando, un mese fa, un gruppo di liberal del partito ha provato pubblicamente a sfiduciarlo, chiedendo un “passo indietro” per via delle sue critiche al giuslavorista e senatore del Pd Pietro Ichino. C'è stato un tempo, infatti, in cui Fassina diceva che le idee di Ichino valevano “a titolo personale” e soprattutto che valevano appena “il due per cento del partito”, e però poi il governo Monti ad alcune di quelle idee ha attinto, motivo per cui ora i liberal dicono: sei tu che vali il due per cento. Quasi epurato, e infine salvato (tutti a dire: no, Fassina resti lì, per carità), il responsabile Economia ha continuato a esprimersi come una Cassandra del giorno dopo sul quadro economico generale: “Purtroppo non è un caso che ci si trovi in questa situazione… si è scelto di trattare una crisi da debito privato come una crisi da debito pubblico”, sottintendendo un: “Io ve l'avevo detto”.

    Abituato a discutere da pari con gli economisti del Fondo monetario internazionale a Washington (dove è stato per cinque anni), ma poco avvezzo a paludamenti da cancelleria, Fassina ha definito le proposte anticrisi di Olli Rehn, commissario europeo, “deprimenti sul piano intellettuale prima che economico”. Non ha l'aria del barricadero, Fassina, e anzi le sue camicie bianche e le sue cravatte lo rendono simile a un qualsiasi quarantenne di una qualsiasi city, eppure sta dalla parte combattente della barricata da quando, nell'anno della Pantera (1989-90), occupava la Bocconi dove Monti era rettore. Fassina pensa che la manovra montiana sia recessiva punto e basta (“non c'è nulla per la crescita”, dice), cosa che dicono anche i liberali puri (vedi Ostellino), e però poi Fassina subito torna il laburista statalista che chiede “la riforma degli ammortizzatori sociali per arrivare a un'indennità di disoccupazione universale”. Resta voce isolata nel Pd, Fassina, e però la sua voce è garanzia di sopravvivenza per l'attuale maggioranza del Pd, silente ma poco disponibile a vedersi rovesciata anzitempo a mezzo spread.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.