Morgan, il cantante che s'è riciclato icona tv facendo un piccolo capolavoro

Stefano Pistolini

Difficile che i personaggi strabordanti, le personalità invasive, trovino oggi nella tv italiana lo stesso successo che ebbero in passato, quando urlatori, provocatori, ma anche sublimi gesti geniali nel loro eccesso vennero riconosciuti come elisir dell'anti noia e i titolari furono gioiosamente aggregati al carrozzone della serata in tv. Stiamo pensando a Morgan, ed è curioso constatare, appunto, che ormai ne parliamo in termini assolutamente televisivi, come tv personality, al di là dei meriti e dei suoi valori come cantante e musicista.

    Difficile che i personaggi strabordanti, le personalità invasive, trovino oggi nella tv italiana lo stesso successo che ebbero in passato, quando urlatori, provocatori, ma anche sublimi gesti geniali nel loro eccesso vennero riconosciuti come elisir dell'anti noia e i titolari furono gioiosamente aggregati al carrozzone della serata in tv. Stiamo pensando a Morgan, ed è curioso constatare, appunto, che ormai ne parliamo in termini assolutamente televisivi, come tv personality, al di là dei meriti e dei suoi valori come cantante e musicista.

    Ormai, per preveggenza o per sopravvivenza, infatti, Morgan ha definitivamente traghettato la sua faccia antica e la sua voce mimetica dentro la scatola. La cosa lo adombrerà, ma è così, e deve accettarlo perché è lui che l'ha voluto o forse sono le traiettorie della sua carriera artistica ad averlo imposto, dal momento che oggi, probabilmente, se si vuole vivere con un certo agio, essere Morgan il cantante può non bastare più, nell'asfittico panorama del commercio musicale (certo, se non che a espandere il cachet per una serata, non ci siano appunto la popolarità guadagnata cantando le stupefacenti “Canzoni dell'appartamento” – una delle più alte produzioni italiane degli ultimi dieci anni –, ma le sue stravaganze lunari nell'interpretazioni d'un Verdi postmoderno, ridotto dalla necessità a servire il pubblico nei panni del giudice di pivelli). Perché tra i sonnecchiamenti di questa stagione tv, la possanza da arena dell'edizione Sky di “X Factor” e gli stimoli provenienti da quella giuria che mai risulta narcotica e anzi – liquidato il buonsenso d'antan della Maionchi – riesce a essere cult, ha la sua punta di diamante negli sconcerti del Marco Castoldi. Il quale, va ricordato, gioca a questo gioco della musica con l'arroganza di chi è maestro della materia e adesso si trova a fronteggiare una situazione inedita per lui: fin qui, infatti, nelle tre edizioni alle quali ha partecipato in Rai, aveva sempre trionfato, ovvero aveva condotto alla conquista del fattore X i suoi protetti, dai misconosciuti Aram Quartet (onorati di una canzone da lui scritta, “Chi”), pilotando poi i successi di Matteo Becucci e Marco Mengoni. Stavolta invece, niente pupilli di Morgan fin dalle semifinali, dal momento che l'ultimo suo baluardo per la sua categoria under 25, il valoroso Vincenzo Di Bella, è stato spazzato via dall'ondata di eccellenti vocalist femminili che sono la novità di questa edizione, perché il fenomeno Joss Stone-Katy Perry forse è riproducibile anche da noi.

    Poco male, dal momento che è solo una gara, divertente e stolta, e spesso gli sconfitti hanno avuto più fortuna dei vincitori. Morgan potrà ora giocare con meno politica e più bizzarria e non rinuncerà a essere carnefice e pigmalione supremo. Ma ciò che più diverte è che il suo personaggio regge, anzi si rafforza. Ha scavallato, ha ingoiato gli scandaletti, le maldicenze, le ammesse debolezze, le ha inglobate nel personaggio e ha lasciato che la dissoluzione e quel malinconico buttarsi via divengano la sua cifra più appassionante. Il suo dandismo maculato trash, i suoi approssimativi costumi d'opera, il grigio stropicciato dei suoi capelli, le occhiaie combattute a intermittenza, il discorso che diventa ranting infarcito di reminiscenze musicali, difficilmente lo restituiranno integro alla canzone italiana, ma hanno creato un piccolo capolavoro di amoralità. La sensazione potrebbe essere che lui stesso, acuto com'è, sappia che il serbatoio di creatività d'un cantante non è infinito. Che il suo meglio l'abbia già creato. E che, dal momento che il narcisismo lo richiedeva, questa trovata per restare sotto i riflettori, si riveli alla fine, la migliore possibile.