Ostellino non si beve lo spread
Pagina trentotto del Corriere della Sera, parola di ex direttore del Corriere della Sera. Insorge, fieramente insorge Piero Ostellino, di base un “liberale scomodo”, come dice il titolo di un suo libro, e di fatto un liberale defilato, un torinese che ha fondato il centro Einaudi negli anni Sessanta e poi se n'è andato a Mosca e a Pechino, da cronista, a cementare per sempre il suo anti statalismo nell'osservazione quotidiana di due regimi comunisti in pieno fulgore.
Pagina trentotto del Corriere della Sera, parola di ex direttore del Corriere della Sera. Insorge, fieramente insorge Piero Ostellino, di base un “liberale scomodo”, come dice il titolo di un suo libro, e di fatto un liberale defilato, un torinese che ha fondato il centro Einaudi negli anni Sessanta e poi se n'è andato a Mosca e a Pechino, da cronista, a cementare per sempre il suo anti statalismo nell'osservazione quotidiana di due regimi comunisti in pieno fulgore. Si leva contro la soluzione tecno-gerontocratica, e con quali parole, il risorgimentale Ostellino – barba gentile e occhiali tondi sul volto tondo, omaggio fisiognomico a Camillo Benso Conte di Cavour. Si staglia con un elenco energico e per nulla intimidito di “perché no” su uno sfondo di cori pro Monti. Non un'accusa personale, ma una mezza pagina di accuse collettive alla “retorica auto-consolatoria” e provvidenzialistica degli italiani “infrattati nello ‘stato paternalista' che chiamano sociale” e incapaci di rendersi conto “che tra il governo dei ‘saggi'” e i governi politici che lo hanno preceduto “non c'è poi tanta differenza: stesso ricorso alle tasse come ‘pezza a colori' sui buchi dello stato; stessa impotenza, mal nascosta da una certa alterigia accademica”. Par di vederlo, Ostellino, come fosse ancora chino su una macchina da scrivere in quel di Mosca, quasi divertito all'idea di punzecchiare “l'alterigia accademica” ma appassionato come davanti all'irreparabile: il mercato, continua a dire dal giorno dell'avvento di Mario Monti, è come il termometro che misura la febbre, e quando la politica distorce l'economia, il libero mercato si ribella.
E' un pimpante e inatteso effetto collaterale dell'età tecnica, l'Ostellino tranchant che richiama alla lucidità mentale gli obnubilati da spread: “Se non vogliamo continuare a ingannare noi stessi, dopo aver cercato di ingannare i mercati, senza riuscirci, sostituendo un capo di governo festaiolo e politicamente debole con un sobrio docente universitario che ha fatto la voce (fiscale) grossa, dovremmo chiederci perché il divario (spread) tra il rendimento dei titoli di stato tedeschi e i nostri sia (ancora) così ampio”. Ma è sul perché i mercati non “abbiano bevuto” l'idea del “fuori il Cavaliere e le cose cambiano” che l'Ostellino picconatore si scatena con j'accuse freddo ma implacabile verso lo stato “para-autoritario” (con governo tecnico e “statalista” in un paese “che non garantisce neppure la costanza della certezza del diritto, ma lo muta, secondo le convenienze del governo in carica”). E insomma il padre del centro Einaudi pare proprio sceso dalla turris eburnea di liberale elitario che da trent'anni non vota per non aiutare la sopravvivenza dello “stato illiberale” e che è anche un po' orgoglioso di sapersi inascoltato su stato di diritto, centralità dell'individuo e Costituzione, a suo avviso “anacronistica”, come disse in un'intervista a Luigi Mascheroni, “risultato di un compromesso tra il cattolicesimo dossettiano e il comunismo di stampo sovietico”.
Già insultato da blogger e lettori del Corriere, qualche mese fa, per aver paragonato il grande orecchio intercettatore di olgettine alla Stasi, Ostellino elimina d'un colpo i salamelecchi e innalza diretto il vessillo “antiestorsione” (quella dello stato “massacra di tasse”), la bandiera anti “obbrobrio giuridico” (contro l'esecutorietà della sanzione amministrativa), lo stendardo pro “separazione dei poteri” in un paese che va verso il “totalitarismo amministrativo” anche per ragioni storiche (gli italiani, scrive, “non credono nella società aperta, alla dimensione morale della libertà… alla fertilità della concorrenza, al pluralismo sociale e dei valori…”.
L'Europa vive di illusioni illuministe giacobine, diceva già un mese fa l'Ostellino che oggi vuole scoperchiare la disillusione precoce e non confessata dei media per il “Monti uomo della Provvidenza”. E deve sembrargli talmente grossa, questa, che, in barba alla lunga astensione dalle urne, Ostellino pare quasi pronto a redigere un programma politico, civile, elettorale.
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